Ogni volta che vedo il nome di Erri De Luca stampato su una nuova copertina, la mia mano scatta in automatico verso il ripiano del negozio di libri sul quale mi trovo ad afferrare il piccolo volume per cercarne subito la trama. (Anche se – oramai – vado a fiducia.)
Così è successo, per caso, con il primo dei suoi piccoli volumi che ho acquistato, E disse. Tra quelle pagine ho trovato una luce particolare e, per questo, la decisione di inserire lo scrittore napoletano nel mio olimpo personale di autori si è rivelata immediata.
Tutto questo si è ripetuto di nuovo con La natura esposta. Stampato in un formato un po’ più grande del solito, mi scompagina il reparto della libreria riservato a Erri, spiccando tra tutti i suoi fratelli maggiori. Si potrebbe dire che un po’ si espone anche lui.
Superata la premessa, in cui De Luca racconta come la genesi di questo libro risieda in un doppio incontro tra amici in Val Badia, e di come sia riuscito a tornare alla scrittura a tempo pieno solo dopo la conclusione del processo che l’ha visto sul banco degli imputati, vengo subito colpita dalla prima frase.
Abito vicino al confine di Stato, sotto montagne sapute a memoria.
Anche se non sono la protagonista della storia e la curiosità di proseguire mi divora, mi fermo, cerco la matita e chiudo tra due parentesi quella frase.
In quella riga e un pezzo sono comunque io, che vivo a pochi minuti di auto da un confine, io che conosco a memoria i profili dei monti che circondano il lago e le mie spalle.
La Natura Esposta mi parla di un continuo uscire dai propri confini.
L’io narrante, incappando casualmente in un Crocifisso marmoreo da sistemare, non sa che finirà per aggiustare anche un po’ di sé, per poi ritrovarsi sempre al di fuori del proprio essere.
L’incontro con la statua di Cristo diventa perciò il culmine di tutti gli incontri fatti prima di essa e grazie a essa, compreso – o forse soprattutto – quello con se stesso. Segno che, anche a sessant’anni,
non è mai troppo tardi per conoscersi e ri-crearsi una volta di più. E mai da soli.
La natura che si espone, allora, non è solo quella di una statua, ma quella umana tutta intera, compresi i suoi lati più intimi. (Che poi, quale uomo conosciamo che sia più esposto di Cristo in croce?)
E mostrandosi agli sguardi più o meno penetranti di chi la osserva, essa appare afferrabile e inafferrabile nello stesso tempo. La si può toccare, certo, ma c’è da stare attenti: potrebbe respingerci quando meno ce lo aspettiamo, se ci avviciniamo con un eccesso di orgoglio o con desiderio di possesso. Per accostarsi alla natura occorre invece un tremito di rispetto e di cura, un abbassarsi che diventa poi un ricevere e un accogliere, insieme.
Oggi, che siamo tutti capaci solo di innalzarci sopra agli altri, fino alle conseguenze più devastanti, questa lezione ci è ancora più necessaria. E stavolta, a darcela, sono le parole cesellate sempre con scrupolo da Erri De Luca, in quella sua prosa che si trasforma continuamente in poesia.
Ho imparato da voi a essere nessuno. Tengo gli occhi bassi e questo mi fa scomparire, li alzo e appaio di nuovo. Sto zitto e sono accolto, parlo per chiedere un’informazione e sono respinto. Preferite nessuno. Va bene, facciamo che non esistiamo l’uno per l’altro. Tu no, ti siedi, racconti, domandi. Tu sei qualcuno e fai diventare qualcuno anche me.
La natura esposta – Erri De Luca (Feltrinelli)

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