Mancano circa sei chilometri e all’improvviso parti. Ti lasci tutti alle spalle e te ne vai da solo giù per il Poggio. Tipico tuo.
Che avessi qualcosa in mente, l’avevo immaginato già da un po’, vedendoti sbucare nelle avanguardie del gruppo, ma avevo scacciato l’idea come si scaccia un moscerino un po’ troppo molesto. Avevo paura di crederci, questa è la verità.
E invece sei proprio tu, Vincenzo, a insegnarmi che ogni tanto dobbiamo crederci. Che possiamo inventarci da zero una nuova canzone seguendo il filo di un’ispirazione giunta quasi per caso. E che questa, poi, sia la canzone della vita.
A Sanremo, d’altronde, di canzoni se ne intendono. Ci sono quelle che nessuno ricorda più e quelle che invece restano indelebilmente appiccicate al cuore e te le porti dietro una vita intera.
Come questa Milano – Sanremo, così storica, così folle, adesso così tua.
La Classicissima non è una corsa come le altre: è un lungo e difficile volo, il ritorno dalla migrazione invernale verso una primavera che vuole esplodere a tutti i costi. È fatta esattamente come questo maledetto marzo in cui la si corre: imprevedibile dal primo all’ultimo chilometro. Pioggia a litri, vento, infine il sole.
L’unico modo per risolvere il suo mistero è, davvero, crederci. Provare a buttare il cuore e le gambe oltre tutti gli ostacoli. Rischiarla tutta, fino in fondo. Fino a ritrovarsi con le braccia spalancate e, disegnato sul viso, un sorriso così simile a quello di un bambino felice per una sorpresa, di una bellezza tale davanti alla quale tutto il resto del mondo sparisce.
Ridi, Vincenzo. Piangi, se vuoi. È stupendo così.
Continuiamo a cantare insieme questa canzone ancora umida di pioggia e di salsedine che mi ricorda un’alba sulla spiaggia di Sanremo, poco più di un mese fa.
Cantiamola per impararla a memoria e non scordarcela mai più.
Non smettere di ricordarmi come si fa a crederci, continua a farmi capire che non sono importanti le cadute o le sfortune, ma che più di tutto importa provarci. Sempre, anche quando tutto sembra impossibile.
Cantiamo, Vincenzo.
Passano come rondini
possibilità e utopie.
Volano senza redini
come libere armonie.
E non conosco più leggi di gravità,
ostacoli e complessità:
raggiungo un’altra dimensione.
Se chiudo gli occhi vedo l’infinito in me,
supero i miei limiti più di quanto immagini…[ Decibel – Lettera dal Duca ]
