San Luca è quel miraggio che, quando si passa da Bologna e dintorni, si può ammirare là in cima al Colle della Guardia. È quel punto che le zdore, le sfogline, dicono si debba vedere attraverso la sfoglia delle tagliatelle – a tal punto deve essere sottile.
Il primo traguardo di ventuno è nascosto in mezzo agli alberi, poco distante dal santuario, e attende i suoi corridori uno ad uno, snocciolati come i grani di un rosario. Otto chilometri che sulla carta sono pochissimi, ma qui si sa che le cose più brevi sono spesso quelle più bastarde.
Una curva e poi su, in una via dolorosa che con le sue pendenze non perdona niente – o forse perdona tutto.

Le salite nei grandi giri sono come il pavé nelle classiche. Fanno male, le senti dentro e addosso, tra i denti, nel sudore che cola, nelle orecchie che pulsano e non so se ce la fanno a sentire anche il boato della gente intorno.
Io so che, invece, sento tutto. Che il suono di una cronometro è per me uno dei più belli che esistano al mondo: le ruote lenticolari che ruggiscono sull’asfalto, l’aria che si fende e mi arriva in pieno viso, quando il corridore ci passa in mezzo, come una sciabolata fulminea.
Se fosse un brano musicale, la crono potrebbe essere la quinta sinfonia di Beethoven. Così improvvisa e poi d’un tratto quieta, solenne, potente e dolce insieme.
Salgo con la strada che si impenna sotto i miei piedi, e non so come, ma ce la sto facendo. Mi fermo sulla curva delle Orfanelle, ho il sole addosso e un sacco di tifosi colombiani di fronte e alle spalle. Mi vengono in mente Innsbruck e la Holl e penso che in fondo tutto torna, prima o poi. Sento quella cosa alla bocca dello stomaco che prende quando ci si sente all’interno di un istante totalmente perfetto e mi scappano un paio di lacrime.

È quasi buio quando Roglic, dopo tre ore di attesa, può finalmente indossare la Maglia Rosa. Alle nostre spalle c’è la fidanzata Lora, in attesa del loro primo figlio. Piange di gioia, mentre Primoz la cerca di continuo con lo sguardo emozionato e le porge il mazzo di fiori ricevuto in premio.
Perché vincere è bello, certo, ma senza l’amore non c’è null’altro al mondo per cui valga la pena battersi.
