Il mio percorso universitario è stato lungo e travagliato, ma non per la facoltà che ho scelto – sebbene mi sia successo, ovviamente, di incappare in qualche materia più odiosa delle altre.
Rispondere alla domanda “cosa studi?” mi ha sempre fatto scappare un sorriso anticipato al pensiero della reazione del mio interlocutore nell’udire la parola “filosofia”: occhi sgranati, ammazza, e altre cose di questo tipo. Probabilmente qualcuno pensava che dovessi avere una barba d’ordinanza sul modello della “Scuola di Atene” di Raffaello anche se sono una donna, oppure che dovessi camminare perennemente con la testa all’insù e le braccia intrecciate dietro la schiena, immersa in meditazioni sulla nascita del cosmo, rischiando di cascare nel pozzo come Talete.
Vi svelo un segreto – che poi tanto segreto non è: la filosofia è molto di più di tutto questo.
Ha così tante branche e applicazioni che conoscerle tutte è ben difficile. In questi anni, poi, si parla di “filosofia di qualsiasi-cosa“, persino delle serie tv, per dire. L’unica domanda che mi è stata fatta durante la discussione della tesi riguardava proprio il senso di questo allargamento di prospettiva: per me parlare di “filosofia di” nasconde il desiderio di andare più a fondo possibile su un ambito specifico, scoprire cosa è stato detto, cosa si può dire di nuovo, fino a dove si può arrivare. Persino dal punto di vista dell’esistenza concreta.
Ecco perché della filosofia non dovremmo aver paura, anzi, dovremmo farla tutti un po’ più nostra, senza dover diventare per forza super-pensatori.
È davvero una risorsa preziosa che ci permette di leggere le dinamiche del mondo e delle nostre vite personali in modi nuovi e che può suggerirci realmente anche nuove modalità di azione. No, non è (solo) un sapere astratto come si potrebbe pensare. Né un elenco di nomi più o meno noti ai quali associamo simpatie o antipatie personali a seconda dei traumi nei quali siamo incappati durante gli anni del liceo.

Un’idea di questo genere mi frullava nella mente da tempo, soprattutto da quando ho cominciato a interessarmi di comunicazione, ma non solo. A tratti emergeva, a tratti scorreva come impulso sotterraneo, ma è stato durante la scrittura della tesi che ha trovato il modo di uscire con più forza allo scoperto, diventando l’illuminazione che mi ha permesso di trovare il nesso tra gli argomenti che volevo affrontare.
La mia intenzione, infatti, era quella di realizzare una tesi sul ciclismo, considerando quanto, nel corso degli anni, questo sport abbia saputo mostrarmi e insegnarmi rivelandosi, appunto, una filosofia. Ma passare dalla teoria dell’idea alla pratica della scrittura non era affatto semplice. È stato sufficiente un piccolo libro a spalancarmi un mondo: “Il bello della bicicletta” di Marc Augé, antropologo e filosofo francese tuttora vivente.
La sua riflessione attorno al mezzo-bici e allo sport-ciclismo non è altro che uno degli esempi più concreti del suo pensiero, legato all’essere umano e al suo modo di abitare e vivere il (e nel) mondo contemporaneo.
Il concetto di nonluogo, la visione della società mondializzata paragonata a un’unica grande città che in un senso si apre e nell’altro si chiude su se stessa, l’idea di una coscienza planetaria sociale ed ecologica da rincorrere: sono stati tutti i punti di partenza di un lavoro che parla sì di bicicletta e ciclismo, ma prima di tutto – e in ogni sua pagina – parla dell’uomo, di ognuno di noi.
Perché ci siamo persi, ci siamo ingolfati in questa realtà che ci sembra nello stesso tempo enorme e fin troppo ristretta, ci siamo dimenticati dell’altro che ci sta di fronte – si tratti esso di una persona o il mondo intero – per ripiegarci sui nostri egoismi, sfuggire alle responsabilità e a tutto ciò che ci costituisce nella nostra essenza di uomini e donne fatti per essere in relazione. Per questo dobbiamo provare a ritrovarci e a ricostruirci, soprattutto adesso.
Questo, molto in breve, è ciò che ho voluto proporre nella mia tesi, senza ovviamente pretendere di creare una ricetta valida per chiunque. In ogni caso, per utilizzare una similitudine culinaria, il procedimento prevede:
- riscoprire la doppia dimensione del corpo e dello spirito;
- rileggere, a partire da qui, lo spazio e il tempo in generale;
- spostarsi poi all’interno della città con la quale tutti, in un modo o nell’altro, abbiamo a che fare;
- ripetere dall’inizio, ma in sella a una bicicletta e, poi, provando a guardare con occhi nuovi anche uno sport come il ciclismo.
(Pian piano approfondiremo tutti questi punti, promesso!)