Il diario di viaggio (a distanza) della seconda settimana di questo Giro d’Italia è fatto di luoghi, ricordi e letteratura. Ma ci sono anche storie di legami che si annodano sempre più stretti, voli perfetti e incantesimi finalmente infranti. Continuo a chiamare tutti – o quasi – per nome. (La prima settimana la potete rileggere qui.)
“Polvere” – Tappa 11 | Perugia – Montalcino
Fin dal primo sterrato nuvole bianche si sollevano da quelle lingue di creta che si snodano sui colli toscani. A guardarli paiono segnali di fumo dove un messaggio in codice ne cela, in realtà, molteplici.

Brilla forte, sotto a un cielo che promette tempesta, il verde acido dei campi e delle vigne da cui nasce il Brunello di Montalcino e chissà se tra i suoi sapori c’è anche quello di questa terra bianca che sale verso l’alto per poi depositarsi ovunque trovi un anfratto, che entra nel naso e si impasta con la saliva e il sudore.
In un episodio di serie tv che ho visto poche settimane fa, una dei protagonisti sosteneva che bisogna assaggiare la terra per sentire se è buona prima di scegliere il terreno giusto per piantare una vigna. Non stento a crederlo, ma mi immagino i corridori che, a una frase del genere in una giornata del genere, non perderebbero un istante per mandarti a quel paese. Perché assaggiare la polvere non è detto che sia sempre una cosa bella: può voler dire restare indietro, soffrire, faticare, avere una paura enorme e trovarsi all’improvviso di fronte ai propri fantasmi, come Remco che a ogni tratto di sterrato perde contatto. Come se, tra quelle nubi fatte di polvere, una mano invisibile lo volesse trattenere con forza a sé ricordandogli a ogni pedalata il suo giorno più difficile.
Certo, non è il solo, perché queste colline sono dolci solo in apparenza, solo se osservate da lontano. Il Passo del Lume Spento, da scalare addirittura due volte, sembra uno scherzo del destino, con quel nome che è tutta una sfida volta a non farlo diventare realtà, a tenere accesa quella luce che serve per arrivare fino in fondo anche oggi, dopo questa Strade Bianche in miniatura. Ad un certo punto vedo inquadrati dei cipressi e, anche se Bolgheri è da un’altra parte, mi viene in mente Giovanni Pascoli. Rileggo Davanti San Guido, perché non me la ricordo più.
Intesi allora che i cipressi e il sole
una gentil pietade avean di me,
e presto il mormorio si fe’ parole:
— Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’.
Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
che rapisce de gli uomini i sospir,
come dentro al tuo petto eterne risse
ardon che tu né sai né puoi lenir.
“Lasciami gridare” – Tappa 12 | Siena – Bagno di Romagna

Il profumo del bosco bagnato, dopo un’acquazzone, è uno dei miei preferiti. Anche quando l’umidità entra prepotente nelle ossa mentre ci cammino dentro e mi fa rabbrividire. Le foreste del Casentino sono così verdi che, anche attraverso lo schermo, posso immaginare l’odore di buono che “viene su” dal terreno e dall’asfalto che i corridori respirano in quel momento.
La fuga si spezza e a giocarsi la vittoria restano ancora in due, Christopher e Andrea, quest’ultimo nella posizione tecnicamente peggiore per chi deve lanciare una volata. Ma quello che, il più delle volte, è un suicidio annunciato oggi si trasforma in un grido dritto al cielo di Bagno di Romagna. Un urlo che mette insieme due sentimenti diametralmente opposti: la gioia per una vittoria a lungo cercata, sognata, rincorsa, e tutti quei dolori che non è stato semplice affrontare, per chi si sente come Joker dopo quel tremendo incidente che gli ha segnato il volto. Quello stesso volto colpito non troppo tempo fa da un pugno ricevuto da un automobilista, senza motivo, durante un allenamento.
In questa tappa passata sotto casa di Alfredo Martini non posso non pensare che “il CT” è una delle persone legate a questo mondo che avrei voluto incontrare prima che fosse troppo tardi, come per il Pirata. Nell’angolo della mia libreria dove ho posizionato tutti i libri dedicati al ciclismo ce n’è anche uno suo: è un piccolo diario del Giro 2014, l’anno della sua morte. Lo sfoglio per l’ennesima volta e trovo fra le pagine questa frase che mi sembra scritta apposta per oggi:
La fuga è un’avventura: bisogna crederci e non solo sperarci, ci vuole complicità e non solo egoismo, ci vuole follia e non solo coraggio.
“Dante” – Tappa 13 | Ravenna – Verona
Sono tanti i ricordi che mi legano a Verona. Tra questi c’è la prima volta in cui ho usato la bici in una grande città, l’unica, finora, in cui non ho avuto paura di pedalare per strada. Mi chiedo ancora adesso se (e dove) riproverò mai quella sensazione di libertà girando per vie e piazze in sella a una bicicletta scassata e un po’ traballante.
Oggi di scassato e traballante non c’è niente, in questa volata – scontata ma non troppo – che sale da Ravenna attraverso Ferrara e Mantova. Tutte città queste, che in un modo o nell’altro portano nella loro storia le tracce di Dante.
Dante che, a settecento anni di distanza, ha parole che sono perfettamente capaci di raccontare lo sport anche oggi. Non si offenderà dunque (spero) se ne prendo in prestito qualcuna per dire di un’altra prima volta, quella di Giacomo, pescando nel XV canto dell’Inferno. Lì il suo maestro, Brunetto Latini, si allontana rapidamente dopo avergli appena profetizzato l’esilio e per descrivere questo movimento il poeta fiorentino sceglie di citare il Palio del Drappo Verde, una gara di corsa che si tiene – sarà un caso? – proprio a Verona:
Poi si rivolse, e parve di coloro
che corrono a Verona il drappo verde
per la campagna; e parve di costoro
quelli che vince, non colui che perde.
“Niente spinte, grazie” – Tappa 14 | Cittadella – Monte Zoncolan
È maggio inoltrato, ma la primavera, in alta montagna, arriva sempre più tardi. Sui prati a 1750 metri di altitudine c’è ancora la neve e le nuvole basse rinchiudono la cima del Kaiser in una sorta di bolla lattiginosa che la nasconde alla vista.
Undici anni fa Ivan pedalava con lo sguardo fisso all’insù, forse memore di quando ci dicono di non voltarci mai verso il basso, altrimenti è finita. Lo sa, insomma, come si fa a domare queste rampe senza alcun tipo di appello – o ti accolgono o ti respingono, fine – e non poteva fare altro che dire a Lorenzo “Vai e vinciamo”.

Lo osservo stringere i denti, gli occhi, le mani sul manubrio e non so da quale parte dentro di sé riesca a trovare la forza necessaria a lasciare lì Jan a zigzagare come impazzito per la fatica. Non un’occhiata dietro di sé, nemmeno quando rischia di cadere per mano di un eccesso di idiozia che potrebbe rovinare tutto in un istante. È una cosa che non si riesce a spiegare a parole, quel bilanciamento perfetto di testa e gambe che, nel momento esatto in cui ti aspetteresti di naufragare, ti fa spiccare il volo.
Riprendo in mano L’ultimo Giro di Martini:
La nostra vita ha i suoi Zoncolan. Li facciamo a quattro zampe, a piedi, in carrozzina, anche nei pensieri, nei ricordi, nei progetti. Sono difficoltà che ci aiutano a superarci e dunque a migliorarci. Ma niente spinte, grazie.
“Aggrapparsi” – Tappa 15 | Grado – Gorizia
Grado era una delle mete di una gita scolastica, terza media se la memoria non mi inganna. Ricordo più facilmente i luoghi: sono sempre stati loro a salvarmi (e mi salvano ancora adesso) quando le cose intorno facevano schifo. Mi è sempre rimasta impressa quella lunga striscia di asfalto che la collega alla terraferma: oggi, lì di fianco, c’è una ciclabile e da lì le persone guardano il gruppo, che è stato fermato dopo una brutta caduta, e non gli sembra vero di averli tutti (o quasi) lì, così vicini. Qualcuno prova addirittura a pedalare al loro fianco, quando ripartono, a resistere il più possibile, ma è questione di istanti e la corsa è già imprendibile, svanita nel nulla.
Al sole della mattina si sostituisce l’ennesimo diluvio da meteo impazzito. Sul circuito che varca il confine sloveno la gente apre gli ombrelli e resta lì, non vuole lasciar andare questa domenica di festa.
Ci aggrappiamo con tutto noi stessi a ciò che ci fa dimenticare per un attimo tutto il casino che abbiamo intorno e dentro e neppure una grandinata, in questi casi, diventa un ostacolo.
L’ennesima fuga che lotta con se stessa e con il maltempo per arrivare in fondo termina con il cinque sollevato in aria e l’espressione felice di chi, come Victor oggi e Giacomo l’altro ieri, è riuscito a spezzare un’annosa maledizione. Aggrapparsi a un sogno e non mollarlo mai, nemmeno quando sembra assurdamente irraggiungibile, forse è questo il segreto.
“Pantani! Pantani!” – Tappa 16 | Sacile – Cortina d’Ampezzo
Nevica sul Pordoi, nevica sul Giau, altrove è un’unica cascata d’acqua che non dà tregua e fa sentire più freddo di quello che c’è. Accorciano la tappa e mugugno un po’, come tanti, anche se in fondo posso comprendere il perché di una decisione di cui, in realtà, non si capisce bene la vera origine.
Egan attacca sui tornanti, un colpo secco in progressione, poi il segnale tv svanisce e, per una volta, tocca a tutti lasciare campo libero all’immaginazione, perché restano solo le parole di quella che si è trasformata in una radiocronaca che evoca tempi di cui, noi più giovani, abbiamo solo sentito raccontare da altri.

C’è un uomo solo al comando anche oggi, ma non ha una maglia biancoceleste come quella di Fausto Coppi, bensì rosa (nascosta dalla gabba antipioggia). Ha ripreso tutti in un battito di ciglia e vola oltre i duemila metri, forse pensando alla sua casa nel cuore della Colombia, a Zipaquirà, ancora più in alto di questo passo sulle Dolomiti che per questo, forse, gli sembra una passeggiata.
In quella casa, nella sua stanza, conserva un poster di un solo corridore, il suo punto di riferimento, nato nel suo stesso giorno di gennaio: Pantani! Pantani!, è il grido che dice di aver sentito, a un certo punto, lungo la strada. Legami che si annodano sempre di più nei posti che sembrano fatti apposta per questo.
A fine giornata guardo fuori dalla finestra: c’è un tramonto pallido e sui monti scorgo le nuvole basse che nascondono le cime. Penso che possono svanire tante cose, nella nebbia che ricopre le montagne – qui, sul Giau o sullo Zoncolan – ma ci sono presenze che non svaniscono mai e anzi, in alcuni momenti, le puoi sentire davvero ovunque, con te.
(Foto © Giro d’Italia – Maurizio Borserini/Eolo Kometa Cycling Team)