Rispondere a una domanda del genere non è una cosa così semplice come può sembrare in un primo momento, ma ci provo.
Mi chiamo Emanuela e sono figlia degli anni Novanta. Vivo sul Lago Maggiore, in provincia di Varese, a pochi passi dal confine con la Svizzera: luoghi che hanno la strana caratteristica di apparire più lontani di un paesino arroccato sulle più remote pendici alpine. Sarà per questo che l’aria, qui, fa diventare qualcuno poeta, qualcun altro – come me – filosofo e altri ancora dei comici un po’ strampalati?
Da piccola volevo fare il medico, poi ho conosciuto la filosofia ed è stata lei a diventare la mia fedele compagna di strada.
È quella materia che non serve a niente, ma, nello stesso tempo, serve a tutto: qualsiasi cosa mi riserverà il futuro, l’amore per il sapere, con tutte le sue mille facce, segnerà sempre il nord della mia bussola.
Mi piace camminare, ma ancora di più mi piace pedalare. Anche se la mia bici prende più polvere che aria e non sono per niente una ciclista provetta, continuo a far tesoro di ogni sensazione provata in sella.
Niente come la bicicletta ha saputo insegnarmi l’esistenza.

Scrivo.
Qui, che è lo spazio nel quale dare libero sfogo a ciò che mi piace, mi colpisce e mi dà motivi per pensare o per emozionarmi. Nato nel settembre 2016, questo blog è il mio “café virtuale” in perenne evoluzione, in cui si parla di un po’ di tutto – ma con l’occhio sempre posato su una corsa ciclistica.
Collaboro con una testata giornalistica e ho cominciato a pedalare sulla strada della comunicazione web e social di piccole realtà locali.
(Ah, sì. Nel cassetto, poi, ci sono almeno un romanzo e una raccolta di poesie.)
Fotografo.
Qui. Dico sempre che mi piacerebbe avere una macchina fotografica nella testa per poter fermare soprattutto quegli istanti nei quali è impossibile utilizzarla. Con quella vera, con il suo peso sulle spalle, mi piace sbirciare i visi degli altri, raccogliere i dettagli o farmi sorprendere da chi incrocia il mio sguardo nascosto dall’obiettivo. Da lì dietro mi sembra di poter accedere a qualcosa di ancora più intimo, persino quando ci sono occhi che sfuggono alla presa.