Ajò | Campionato Italiano 2017

C’è il sole già caldo alle 10, nella piazza di Asti. La pioggia delle prime ore del mattino è servita a ben poco: la giornata sarà cocente e toccherà sopportarla fino in fondo.
Ai ragazzi però non sembra importare, questa mattina scorre forse un po’ più leggera delle altre, nonostante tutte le ambizioni possibili. La corsa tutta italiana è il pretesto per una giornata di festa allargata che quest’anno fa base in Piemonte.
Bus, auto, biciclette, persone ovunque: in mezzo a tutto questo guazzabuglio bisogna fare lo slalom per andare al foglio firma a prendere qualche applauso, ma il passaggio in quella zona pare più obbligato che altro. Zigzagare per la piazza, invece, nemmeno questo sembra dar fastidio a chi si prepara per partire per Ivrea. Dovunque mi giri trovo ciclisti sparsi tra la gente, circondati da fan e parenti, oppure intenti a salutarsi tra loro in quel modo tutto loro che adoro sempre osservare – dimenticandomi invece di immortalare -, per cui non conta che maglia si indossi, l’amicizia viene prima di qualunque altra cosa.

I bambini chiedono borracce o firme sugli album delle figurine che stringono tra le mani, anche a chi non conoscono, con quel misto di audacia e timidezza che, lo ammetto, un po’ gli invidio. Non vedo nessuno tirarsi indietro alle varie richieste, anzi, regalano tutti sorrisi, parole e persino qualche carezza, ricevendo in compenso sguardi emozionati. Manca solo il mantello a questi supereroi, ma in momenti così a Superman e colleghi fanno proprio un baffo.

Dall’altra parte osservo invece gli anziani, appostati accanto alle ammiraglie a studiare le biciclette, alcune preparate proprio per l’occasione. Indicano con fare esperto ruote, corone, deragliatori, provano a far girare delicatamente qualche pedale, si consultano con gli amici sui rapporti migliori. Sicuramente le conversazioni saranno state popolate da una certa quantità di Ai miei tempi… che cela nostalgia o magari addirittura qualche rimpianto per una carriera mai decollata, chissà…

 

Cambio di scena, la nostra nuova postazione è un angolino a La Serra, la salita che i ragazzi devono affrontare per quattro volte prima di terminare la gara. La selezione, oggi, si fa qui.
Ci accoglie il fan club di Matteo Busato – detto il Buso -, allegra compagnia di veneti che ci offre qualsiasi cosa si possa offrire per rendere migliore il pomeriggio sulla strada. Attendiamo i passaggi dei corridori tra chiacchiere, risate e litri di acqua fresca o di vino, ché oggi è una giornata di festa e si vuol brindare alla salute di tutti.
Il sole che picchia sulla schiena è rovente, così come l’asfalto che mi brucia le piante dei piedi nonostante le scarpe, ma, come sempre, tutto sparisce quando passa il gruppo e si vorrebbe corrergli dietro fino alla fine, perché noi da lì non sappiamo come stia andando la corsa, lo scopriamo ad ogni giro e solo per pochi secondi, poi torniamo a immaginare. È una domenica d’altri tempi, da trascorrere così, nel Canavese. Non si vorrebbe essere da nessun’altra parte, qui è perfetto.

 

Il traguardo, però, ci aspetta e bisogna ripartire per Ivrea. Laggiù la telecronaca esce dagli altoparlanti, sovrastata dal vociare della gente eccitata perché finalmente sembra sia partito l’attacco giusto. Insieme ad Aru vogliamo crederci tutti e, infatti, eccolo che arriva tutto solo a prendersi un tricolore che sa di rinascita: è il sapore più bello e più dolce del mondo.

Forse abbiamo fatto tutti finta di niente, Fabio, ma ce lo sentivamo fin dal mattino che il tuo nome era già scritto sulla giornata di oggi. Quando ancora non sapevamo che il gregario migliore, il tuo ultimo uomo, ce l’avevi addosso, in quella maglia frutto di uno scambio in Sierra Nevada, in giorni in cui ancora non si poteva immaginare niente del futuro.
Ti ha tirato alla grande, Miché, ti ha tirato fino a quella luce che avevi smarrito e che ora ti brilla di nuovo negli occhi. Tienitela stretta, ora, che c’è da pedalare ancora più forte. Ajò.

 

 

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