Eccomi qui, finalmente inauguro questo posticino. E non potevo non farlo se non partendo da qualcosa che mi ha sempre appassionata, dapprima in maniera inconsapevole e poi, col passare del tempo, diventando una passione vera e propria: il ciclismo.
Sono di nuovo a Varese, e c’è una nuova Tre Valli Varesine. Si torna a correre sulle strade di casa.
Qualcuno, dalle transenne, mi pone a bruciapelo la fatidica domanda Chi vince oggi?, alla quale il cuore risponde sempre, impulsivamente, con il nome del corridore preferito che sta partecipando alla gara in questione.
La testa, invece, ha già fatto i suoi calcoli, ma si tiene per sé il pronostico, ha quasi paura di sbagliare. La speranza di rivedere un campione come Vincenzo sul podio fa letteralmente a botte con la sensazione che, passaggio dopo passaggio, mi suggerisce che oggi è il giorno di Colbrelli o di Ulissi. Ed è proprio la sensazione ad azzeccarci, perché ad alzare le braccia, sul traguardo, è proprio Sonny.
È questo uno dei tanti motivi per cui amo il ciclismo: il fatto che non sia mai scontato, che cuore e testa non sempre dicano lo stesso ad un tifoso, mentre in un ciclista la loro combinazione si rivela fondamentale per volare fino al traguardo, dando tutto ciò che si ha. Anche quando non basta per vincere.

Se chiudo gli occhi, sento ancora forte lo spostamento d’aria e il fruscio delle ruote che scorrono velocissime sull’asfalto.
Credo che non esista al mondo, per me, una sensazione più bella: l’aria che sferza il viso, in quel modo rude e dolce nello stesso tempo, e fa sentire un po’ come se ci si trovasse in volo è una cosa che ho sperimentato solo nel contatto con questo mondo.
E me la gusto, questa aria, come se fosse un sapore. Lascio che mi entri dentro e che mi spezzi la voce, mentre grido il nome di qualcuno riconosciuto al volo nella marea colorata che mi sfreccia davanti agli occhi. Ho solo una parola in mente, per descrivere tutto questo: libertà.
“Libertà di”, non “libertà da” perché, per quanto si possa esser leggeri, certi pesi si portano lo stesso anche sopra a una bici. Libertà che si percepisce in questo equilibrio talvolta precario su due ruote sottilissime, con le braccia tese sul manubrio e lo sguardo rivolto in avanti.
Ecco, in questa idea di libertà ho scoperto una motivazione valida non solo per una qualsiasi gara, ma per la vita intera, che in fondo altro non è che una strada da percorrere in un costante movimento tra salite e discese più o meno semplici.
Insomma, come recita una massima di Albert Einstein di cui mi sono innamorata a prima vista:
La vita è come andare in bicicletta: se vuoi stare in equilibrio, devi muoverti.