Le otto montagne mi ha attirato fin da subito, con quella copertina dove cime bianche si stagliano contro un cielo blu profondo pieno di stelle. Quasi come un richiamo ancestrale che chissà da dove è uscito. Eppure sono trascorsi alcuni mesi fino al momento di gustarne le pagine. Non mi sorprende.
Sono fermamente convinta che i libri si presentino alla lettura nel momento più opportuno.
Difatti, non mi sono sbagliata nemmeno questa volta.
Di primo acchito appare come una semplice storia di famiglia: Pietro e i suoi genitori, scesi dalle Dolomiti per trasferirsi a Milano, con la montagna sempre presente nei pensieri fino al punto di arrivare a cercare una seconda casa a ovest, come proseguendo la fuga. Ecco che invece, fin dalle prime pagine, traspare una sottile inquietudine. Ci vorrà del tempo prima che sia chiarita – forse mai del tutto sopita, in effetti.
Nel paesino (immaginario) di Grana, ai piedi del Monte Rosa, si vanno quindi dipanando le estati di Pietro, nel delicato passaggio tra infanzia e adolescenza. È il momento in cui si impara a vivere sul serio e a fare i conti con se stessi, le proprie forze e le proprie debolezze. L’asprezza dei monti aiuta a diventare uomini più velocemente.
Con lui, lassù, c’è sempre Bruno, che in quei luoghi ci è nato e cresciuto e che gli insegna giorno dopo giorno la lingua concreta delle cose. È un’amicizia che vive di estate in estate, forse già per questo abituata a ritrovarsi intatta dopo lunghi periodi di silenzi e assenze. Un’amicizia ruvida, per nulla affettuosa, così diversa da quella tra donne, ma non per questo meno intensa.
Altrettanto ruvida è la relazione con il padre, caratterizzata una certa incapacità di comunicazione tra i due che alla fine diventa totale. Occorrerà superare la morte, attaccare insieme i tasselli mancanti di una storia difficile, prima di poter comprendere e riuscire a far pace almeno con il suo ricordo.
E sapevo una volta per tutte di aver avuto due padri: il primo era l’estraneo con cui avevo abitato per vent’anni, in città, e tagliato i ponti per altri dieci; il secondo era il padre di montagna, quello che avevo solo intravisto eppure conosciuto meglio, l’uomo che mi camminava alle spalle sui sentieri, l’amante dei ghiacciai.
Più di tante parole, pur necessarie, è una casa che Pietro riceve in eredità ciò che contribuisce a rimettere insieme i pezzi sparsi della vita dimenticata sulle montagne.
Mi sembrò piuttosto un risarcimento, o una seconda possibilità.
Attorno a quei ruderi da sistemare con l’aiuto di Bruno, rinasce la loro amicizia, si risveglia come da un lungo letargo il legame con la montagna. L’esistenza lenta e quasi primordiale che si crea tra quelle valli sembra creare un ritmo che riappacifica tutto. Sembrerebbe la conclusione perfetta.
La storia delle otto montagne, che Pietro impara un giorno da un anziano nepalese, ha però bisogno ancora di qualche passaggio per compiersi. Ed è qui che risiede, per me, lo spartiacque di tutta la storia: collocato tra l’attesa di conoscere il significato di un titolo che mi aveva inizialmente suggerito tutt’altro e l’attesa di scoprire come andrà a realizzarsi.
Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa.

Una opinione su "Da leggere: Le otto montagne – Paolo Cognetti"