Ci sono settimane che aspetti per un anno intero, da sempre, giorni che sogni di vivere da una vita e che, finalmente, ti si presentano davanti in tutto il loro faticoso splendore. Il mio primo Festival di Sanremo dal vivo è arrivato così: con una valigia di 10 kg da trascinarsi dietro a piedi e la curiosità di chi non sa cosa si troverà davanti – e di certo non è quel che si immagina. Come definire questa avventura?
Delirante, caotica, pazza, devastante, bella.
Il contachilometri del mio telefono segna poco più di 56 km percorsi a piedi in cinque giorni, perciò credo che si possa capire il senso degli aggettivi usati – in buona parte dovuti alla mia partner in crime Silvia che mi ha fatto correre ovunque mentre i miei piedi urlavano pietà e io anelavo ad una bicicletta per sfruttare la spettacolare pista ciclabile che si snoda lungo la riviera (obiettivo fallito ❌).
In questa settimana di febbraio l’unica cosa che si può fare è immergersi in pieno nell’atmosfera del Festival, dando solo pochi sguardi al mare tra una cosa e l’altra, ma sentendolo sempre presente, come una scorta di energia a cui attingere. E il momento perfetto per farlo non poteva che essere il mattino. Data la vicinanza del nostro mini appartamento alla spiaggia, uscire da lì e respirare l’aria salmastra mi è sembrata davvero la sveglia perfetta per quattro giorni. La migliore di tutte è stata quando abbiamo deciso di svegliarci poco prima dell’alba, imbacuccarci e portarci dietro le macchine fotografiche per gustarci il sorgere del sole.
Lo sciabordio delle onde, i lamenti dei gabbiani, la luce dorata che si allarga sull’orizzonte: sembra tutto così lontano in momenti del genere, ma sono proprio quei momenti prima di ripiombare nel caos a restituirci il fiato.

Le strade del centro di Sanremo si popolano sempre di più giorno dopo giorno – durante il weekend in alcune viuzze c’è talmente tanta gente che non si riesce nemmeno a camminare. Ogni tanto incrociamo qualche volto noto della televisione circondato da cacciatori di selfie o autografi, personaggi abbigliati in modo particolarmente eccentrico, sosia di cantanti come Renato Zero o Pavarotti.
Non saprei dire se sia più l’effetto del Carnevale o semplicemente la voglia di farsi notare che in occasioni come queste raggiunge livelli assurdi. Folklore, si potrebbe dire.
Mi incuriosisce, ma non è quello che cerco e infatti il mio sguardo sfugge sui vicoletti più vuoti in cerca di respiro o sulle vetrine popolate da vecchi vinili. In fondo sono, siamo tutti qui per la musica.
Dici che riusciremo a sentire ancora
Adesso, Diodato e Roy Paci
un’emozione prenderci in gola,
quando sei parte della storia
fino a riuscire ad averne memoria…

La confusione, alla fine, ci segue anche dentro Casa Sanremo, al Palafiori. Persino nel Lounge, l’area riservata, c’è folla. Ciononostante riusciamo sempre a ritagliarci uno spazio semi-comodo per assistere a un po’ di interviste di Radio 105 e Radio Subasio alle quali si alternano molti degli artisti in gara e anche qualche ospite. Ma, nemmeno a farlo apposta, i primi in cui ci imbattiamo lì dentro sono proprio Roby Facchinetti e Riccardo Fogli. Mi piace pensare che sia un po’ destino, ormai.
L’atmosfera da dietro le quinte è comunque quella che preferisco osservare: le piccole chiacchiere prima delle dirette tra artisti e conduttori, l’allestimento dei set, l’andirivieni quasi maniacale degli addetti ai lavori.
Ciò che vediamo o sentiamo è solo l’esito di un lavoro precedente e spesso silenzioso, da non dimenticare.
E che sarebbe più bello ancora se non cascasse in una specie di tritatutto mediatico in cui il tempo a disposizione è sempre più risicato e si finisce per essere sballottati da un luogo all’altro senza tregua.
A tratti ho provato pietà (e tanta stima) per i cantanti portati qua e là, a seguito di una tabella di marcia strettissima a dir poco. Al loro posto io non avrei capito più nulla dopo appena dieci minuti di una vita così.





Le canzoni?
Sulla vittoria finale non mi sono certo sbagliata. Preparata o meno che fosse, quella di MetaMoro con “Non mi avete fatto niente“ per me è stata meritata, a differenza di altre posizioni della classifica che non ho trovato affatto giuste, in particolare quelle dei Decibel, di Ron e di Noemi, in gara con tre pezzi diversi tra loro, ma che ho molto apprezzato. Sorprendente anche la bassa posizione dei The Kolors, che, dato l’enorme seguito tra i giovanissimi, credevo sarebbero saliti addirittura sul podio (tra l’altro il brano non era nemmeno così male).
Anche su Lo Stato Sociale non ho commesso errori, sono arrivati secondi e in effetti mi aspettavo una posizione relativamente alta per la loro “Una vita in vacanza” – di certo è già un tormentone pazzesco, anche se l’arzilla ballerina ottantatreenne Paddy Jones che li ha accompagnati sul palcoscenico non riuscirà mai a spodestare dal mio cuore la scimmia di Gabbani ❤️.
“Il segreto del tempo” di Roby e Riccardo ci ha ucciso – o forse ci hanno ucciso di più le cattiverie nei loro confronti lette in rete. Siamo di parte e lo sappiamo, ma vi sfido a trovare uno qualsiasi degli altri artisti che abbia cantato con un’emozione pari alla loro. E l’emozione può giocare anche qualche scherzo alla voce, ma ciò non va a sminuire il valore di un brano che racconta tanto e in cui la composizione di Facchinetti ha saputo esaltare molto bene la penna di Pacifico. Spaccacuore, un brano per noi fuori gara perché crediamo che la vittoria più bella sia di coloro che continuano a mettersi in gioco e a commuoversi anche dopo una carriera lunga una vita.
Anche Red è uno di quelli che ha voluto dire qualcosa di nuovo e di certo, con “Ognuno ha il suo racconto”, c’è riuscito, per quanto la sua esecuzione vocalmente perfetta non mi abbia detto molto dal punto di vista dell’emozione (bella, però, la versione in duetto con Masini). Dopo aver ascoltato il suo nuovo album, tra l’altro, credo che avrebbe potuto portare a Sanremo un altro pezzo tra quelli contenuti al suo interno e, probabilmente, avrebbe fatto ancora di più il botto.
Infine, il trietto Vanoni – Bungaro – Pacifico ha saputo regalare un brano davvero bello e intenso, che Ornella ha definito autobiografico e, da come l’ha cantato, si è capito quanto effettivamente lo fosse. “Imparare ad amarsi” è una delle canzoni che mi porterò dietro per molto tempo da questo Festival, insieme a “La leggenda di Cristalda e Pizzomunno” di Max Gazzè, una vera poesia che mi ha sorpresa.
Da ultimo vorremmo spezzare una lancia a favore delle Nuove Proposte, perché quest’anno ci sono piaciute tutte quante. I loro pezzi sono molto variegati come generi e stili, anche diametralmente opposti se pensiamo ad esempio a Mirkoeilcane e Mudimbi – per me, comunque, il vincitore avrebbe dovuto essere Lorenzo Baglioni con il brano dedicato al congiuntivo.
Ma di sicuro, quest’anno, si può parlare realmente di musica di qualità, sia qui sia nella sezione Campioni. Insomma, l’obiettivo di Baglioni di creare un Festival che avesse alla base per davvero la musica, prima di qualunque altra cosa, ci sembra esser stato raggiunto. E aver avuto la possibilità di viverlo da vicino, respirandone in pieno tutta l’aria, è stato magico.
A maggior ragione, gli aggettivi usati all’inizio ora trovano conferma. Questo Festival di Sanremo è stato
delirante, caotico, pazzo, devastante, bello.
Avremmo quasi voglia di tornarci anche l’anno prossimo.
Vi metto qui la playlist creata da Spotify con tutte le canzoni di questa edizione, così potete ascoltarle senza pensieri! Per gli appassionati, consiglio anche la playlist Sanremo: La storia, che include molti dei brani più famosi delle edizioni passate.