In principio fu Blogspot: sì, “Caffè & Biciclette” è nato lì, solo dopo un po’ si è spostato qui su WordPress.
Una cosa, del suo destino, mi è stata chiara fin dall’inizio: questo non sarebbe stato un blog dove parlare solo di ciclismo, ma una sorta di contenitore per buona parte di quegli argomenti e temi che mi danno ispirazione, mi stanno a cuore o stimolano la mia curiosità. E questo non cambierà, perlomeno nelle intenzioni. Sulle forme ci lavoreremo da qui in avanti.
Il 2020 è stato un anno nello stesso tempo così immobile e così turbinoso e ha messo in discussione un sacco di cose (non solo per me, ma un po’ per chiunque). Se, da una parte, ho iniziato a correre, dall’altra mi sono fermata. Qui, ad esempio.
Ho lasciato questo spazio a riposo, un po’ come un lievitato sotto a un plaid di lana. E, quando ho rialzato la coperta, qualcosa aveva già iniziato a cambiare.
“Caffè & Biciclette” non c’è più: al suo posto ci sono un sito, un dominio con il mio nome e cognome e un blog con una denominazione diversa. È da almeno un anno che penso e ripenso a come rendere questo posto qualcosa di ancora più mio, a che tipo di futuro progettare per lui e a come unire tutto in un unico centro.
Partendo da qui: sono Emanuela, scrivo e fotografo. Ed entrambi questi lati fondamentali di ciò che sono, sono qui, ora: c’è un portfolio e c’è “Riding Social”.
Quando ho scelto il nome per la mia partita iva, nel maggio di tre anni fa, ci ho riflettuto parecchio – persino scarabocchiando un sacco di fogli per vedere non solo come suonasse a voce, ma anche come figurasse una volta messo per iscritto – e questo era ciò che, alla fine, ho sentito più mio.
Riding perché to ride (a bike) significa pedalare, andare in bicicletta. E questa era una componente che non poteva assolutamente mancare, che rappresenta la base del mio modo di pensare la vita e le relazioni.
Social, invece, ha un significato molto più vasto. Va dai social network, con cui in parte lavoro, fino al “sociale” in senso ampio: ciò che riguarda la società umana e passa dalla storia, dalla filosofia o dall’antropologia fino ad arrivare alla cultura in ogni sua ramificazione – comprese quelle meno “seriose”, se così si può dire.
Insomma, la soluzione giusta che esprimesse nell’immediato cosa vorrei raccontare di me e del mondo era già a portata di mano da un bel pezzo. Ho solo dovuto “riscoprirla” e sceglierla nuovamente.
È quindi arrivato davvero il momento di ripartire e vedere cosa si svelerà lungo il percorso.
Intanto, un anno di pandemia, di stop, lontananze e perdite, una cosa – su tutte – me l’ha insegnata davvero:
si possono mettere nero su bianco le speranze, i sogni, gli obiettivi, si possono riempire pagine o hard disk di ricordi da conservare, ma se non si muove nemmeno un passo nel presente non c’è nient’altro che possa muoversi o (ri)cominciare. Viviamo spesso proiettati su un futuro da raggiungere a qualsiasi costo o ancorati a un passato nel quale rifugiarsi, e ci dimentichiamo del presente, di un qui e ora senza il quale le altre due dimensioni non possono contenere nulla.
E allora ciò che resta da fare è rimettersi in sella, far girare i pedali, dirigersi verso una meta più o meno nota, forti di tutta l’esperienza che abbiamo raccolto e che continuiamo ad accumulare.
Non serve andare veloci, almeno questa non è una gara: l’importante è trovare il proprio ritmo e imparare a tirare freni e fiato quando ne abbiamo bisogno, ché anche questo fa parte del gesto del pedalare.