Se ne parla dappertutto e la curiosità aveva ormai da tempo invaso anche me: “la via danese alla felicità”, la semi-impronunciabile hygge (da leggersi ‘hooga‘, o giù di lì) è infatti uno degli ultimi tormentoni in fatto di lifestyle.
Per capire un po’ di più di cosa si tratti, ho scelto uno dei tanti libri di recente pubblicazione sull’argomento, quello scritto da Meik Wiking, direttore dell’Happiness Research Institute di Copenaghen. Chi meglio di lui, visto il lavoro che fa? (Ulteriore motivo per la scelta di questo testo in particolare, la ‘classica’ bella copertina, ma non diciamolo a nessuno.)

In primis bisognerebbe capire quale sia il significato di hygge. Una definizione esatta di questo termine, la cui origine pare risalga all’Ottocento, non esiste. Esso racchiude in sé tutto ciò che riguarda il benessere, il piacere delle cose semplici, lo stare insieme ai famigliari e agli amici più stretti, cucinare, gustarsi una bevanda calda leggendo un buon libro a lume di candela… Insomma, tutta una serie di attività dedicate a recuperare il contatto con noi stessi e con l’ambiente che ci circonda, uscendo dal nostro piccolo cerchio di stress quotidiano e ricaricando le batterie.
Tra le tante caratteristiche dell’hygge, affrontate nel piccolo volumetto di Wiking, vorrei soffermarmi qui su due in particolare, quelle che più hanno a che fare con le mie passioni e con gli argomenti del mio blog… Anche perché, se vi svelassi tutto, non ci sarebbe gusto!
Iniziamo quindi dalla cucina.
Pare che i danesi siano molto amanti del cibo, in modo particolare dei dolci (al punto da mangiarne in un anno addirittura il doppio rispetto alla media europea)! Torte, biscotti, pasticcini, caffè e cioccolato sono i prescelti in termini di hygge.
Ciò che conta, in ogni caso, è la semplicità: è hyggelige tutto ciò che non è ricercato, bensì di facile reperimento e consumo. Se poi pane, dolciumi & co vengono confezionati a mano, da soli o in compagnia, il livello di hygge aumenta. E chi sono io per negare che il profumo dei biscotti appena sfornati faccia sorridere anche nella giornata più grigia? È un fatto assolutamente vero e ampiamente comprovato, almeno in casa mia. (Non per niente trovate le ricette dei miei biscotti nel ricettario, visto il successo che riscuotono tra parenti e amici.)
Secondo Wiking si può parlare di slow food, da intendersi proprio nel vero senso della parola: il momento, l’atto del cucinare, con tutto il tempo che esso richiede – compresa la scelta dei prodotti -, è difatti qualcosa di cui si può, anzi, si deve godere in totale tranquillità e che consente la creazione di ricordi o tradizioni che dureranno molto probabilmente per tutta la vita. E mi trovo decisamente d’accordo con tutto questo: credo davvero che poche cose superino il piacere di preparare una qualsiasi pietanza e gustarla nei giorni successivi o condividerla con chi passa a trovarci.

Il secondo tratto che mi ha catturato (e non poteva essere altrimenti, ormai mi conoscete) è il capitolo intitolato “Biciclette e felicità“.
La hygge, infatti, contrariamente a quanto molti possano pensare, si può creare anche fuori casa. La Danimarca è un Paese il cui punto più alto tocca quota 200 metri sul livello del mare (nessuna velleità per aspiranti scalatori, in questo caso) e che, soprattutto, ha investito moltissimo in infrastrutture a beneficio di chi predilige la bici come mezzo di trasporto.
Quello che più conta – testimoniato anche da diverse ricerche – è che pedalare non viene concepito dai danesi unicamente come un modo qualsiasi o semplicemente più ecologico per recarsi a scuola o al lavoro, ma è un’attività in grado di rendere felici le persone e addirittura di incrementarne socialità, fiducia negli altri e aspettativa di vita. Mica male, no? Già solo a scriverne mi viene voglia di inforcare la mia povera bici e fare un bel giro nei dintorni, nonostante l’aria ancora fredda che mi provocherebbe un raffreddore in tempo zero… E questo sarebbe senz’altro poco hyggelig!

I punti chiave dell’hygge sono tanti e vari, io ho scelto di raccontarvene solo due, ma se andate a curiosare, sono certa che scoprirete di applicarla già almeno in qualche caso, proprio come è successo a me!
Credo che questa filosofia delle piccole cose debba essere adottata più spesso, perché sono certa che a molti di noi serva, ogni tanto, una spintarella che ci riporti all’essenziale e insieme ci faccia riscoprire la dimensione della gratitudine. È davvero così importante (per i danesi in questo specifico caso, ma direi per chiunque) riconoscersi grati per tutti gli istanti che, pur essendo talvolta costruiti con le nostre stesse mani, sono dei veri e propri doni che il quotidiano ci regala? Sì, lo è.
Citando Wiking, in definitiva, ecco allora cos’è la hygge:
“è trarre il meglio da ciò che abbiamo in abbondanza: la quotidianità”.
E dire “grazie“, aggiungerei.