Lugano è bella, si stende come un abbraccio lungo la costa, circondata da una corona di colline fittamente popolate da case squadrate. Quelle colline, tra l’altro, cominciano subito, non appena uno inizia a spingersi verso l’interno della città, anche se non sembrerebbe: sono loro a renderla insidiosa, a maggior ragione per le gambe di un ciclista che deve correre su e giù per otto volte. Una parte la chiamano “Paradiso”, ma in momenti come questi sembra solo un inferno.
E quel lago sta lì, piatto, grigio e sonnolento, a lasciarsi immortalare nelle storie di Instagram o in una semplice fotografia. Dopo più di cinque ore di gara, invece, il sole ne fa brillare la superficie che si intravede tra le teste delle persone assiepate sul traguardo e gli alberi che punteggiano la passeggiata.
Allo stesso modo luccicano gli occhi di Iuri, felici e un po’ commossi. È la sua prima vittoria da professionista, l’ha cercata e desiderata con un unico scopo testimoniato dai suoi indici puntati verso il cielo, appena superata la linea bianca: una dedica per un amico che non c’è più. Un altro amico arriva appena dietro alle sue spalle, è il “Frappo“, Marco. Sono amici-avversari – come ce ne sono tanti nel ciclismo – che hanno studiato e provato il percorso insieme e sono riusciti a spartirsi i primi due gradini del podio giocandosi tutto quanto, fino agli ultimi metri. Lottando l’uno contro l’altro, sì, ma con rispetto. (Cosa che riesce a sorprendermi ogni volta, probabilmente perché non ci siamo più abituati.)
Che fosse una gara tosta, ve l’avevo già detto, e si capiva fin da subito. Generalmente, però, non manca mai l’occasione per rendersene conto in prima persona, anche senza inforcare una bicicletta. Stavolta questa si è presentata nel momento in cui il fisico di un giovane svizzero, in cima ad una di quelle brutte salite, gli ha detto tu ti fermi qui, Gino. Col cuore a mille, il respiro che non si fermava più e i ricci biondi scossi dall’affanno: per oggi basta, fermati qui.
La strada trova sempre un modo per colpire. Eppure il ciclista la perdona, sia quando riesce a domarla, sia quando essa diventa un muro invalicabile – anzi, forse più in questo caso.
Il suo richiamo è irresistibile come quello di una sirena e nessuno ha intenzione di comportarsi, nei suoi confronti, come Ulisse.