Credo ci sia per chiunque una corsa di casa, quella che passa dalle proprie parti e che, un po’ bonariamente, si crede di possedere almeno in una minuscola parte. Per me è la Tre Valli Varesine.
Mi ha sempre accompagnata come una sorta di ‘fantasma annuale’ quando ero più piccola e passava, partiva o arrivava a Luino. – Bei tempi, quelli. – Se torno indietro con la memoria, effettivamente trovo una specie di affascinamento già presente. Ho un ricordo nitido di uno di quei passaggi rapidissimi in cui non conoscevo nessuno, eppure mi commuovevo e subito dopo tornavo a casa mogia perché era durato troppo poco. Forse qualcosa nel mio DNA già mi pungolava. Di certo non sapevo, allora, che mi sarei trovata un giorno lì in mezzo, che sarebbe diventato proprio questo il mio posto felice (al pari di quello sotto al palco della mia band preferita alla quale ho rubato tale definizione).
Nulla avrebbe perciò potuto impedirmi di esserci, a maggior ragione con la mia compagna di scorribande e di transenne (un addestramento di anni che ora ci torna molto utile anche qui).
A Saronno arriviamo presto, non c’è ancora nessuno e le strade sono popolate solo da addetti ai lavori e da piccoli ciclisti che non vedono l’ora di poter incontrare i loro idoli. All’arrivo del bus della Bora-Hansgrohe saltano in sella e si precipitano a chiedere se Sagan c’è, ma per oggi no, bisogna accontentarsi di una cartolina. Senza delusione, però, perché l’importante è essere lì. Ripartono ridendo e chiamandosi a gran voce, sognando magari di trovarsi, in futuro, al posto dei campioni ancora celati dietro ai vetri scuri.
Altri bambini li trovo più tardi in piazza. Sono scolari accompagnati dai loro insegnanti. Niente lezione, è un giorno di festa. Li hanno fatti sedere proprio sotto al palco del foglio firma, ma stanno fermi a fatica. Se potessero, probabilmente, ci salterebbero sopra. Li sento parlare di Nibali e Aru, con quel fare da esperti che li rende buffi, data la loro età. Ma la cosa che più mi fa tenerezza è il calore con cui accolgono ogni corridore presentato dallo speaker: c’è un urlo e uno sventolio di bandierine per ciascuno, poco importa se sia noto o meno. Ognuno ha bisogno di un momento tutto suo, anche se non è il più forte di tutti. Quell’incoraggiamento tutto infantile, più puro e senza pregiudizi, potrebbe fare la differenza: qualcuno, un bambino, ha creduto in me anche senza sapere chi fossi. Mi piace pensare che abbia funzionato così per Alexandre Geniez.
Non so restare troppo al foglio firma, mi piace cogliere altri momenti più nascosti, meno ufficiali. Soprattutto i gesti: sono loro ad insegnarmi sempre più di qualsiasi altra cosa.
E allora mi perdo ad osservare le persone comparse come dal nulla all’arrivo dei mezzi, quasi in risposta ad una chiamata silenziosa, o quelle che scendono dai bus per preparare la partenza.
C’è sempre qualcuno che si ferma ad ammirare i dettagli delle biciclette, a sfiorarle con dolcezza, come fossero cavalli da non far imbizzarrire. Lo faccio anch’io. I meccanici le sistemano una ad una sui loro stalli, un’esposizione elegante e perfetta. Provano le ruote, avvitano qualche bullone troppo lento, sistemano le borracce con precisione: piccoli gesti rituali da compiere ad ogni corsa, un po’ come apparecchiare la tavola prima di mangiare. Ci vuole cura, amore. Niente di più.
Quando mi fermo a fotografare i corridori, spesso mi chiedo quali pensieri gli si affaccino nella mente durante quel breve tratto di strada tra i bus e la partenza che sembra una gimcana in continuo movimento. Mi capita di intercettare sguardi pensierosi che si aprono in un sorriso quando incrociano il mio. Questo mi piace, è come un tacito scambio di coraggio. Buon lavoro, buona corsa, dai che ce la facciamo anche oggi in qualche modo.
A Varese non stiamo ferme in un punto, abbiamo otto giri a disposizione, perciò decidiamo di risalire parte del Montello a piedi – non so come ci sia riuscita, in realtà. L’adrenalina, probabilmente.
La macchina fotografica purtroppo non ne vuol sapere di scattare come desidero. Non ho la forza di litigarci, quel che viene, viene. Va bene così.
Oggi contano i gesti, la corsa è l’aria di casa che respiro quando il gruppo mi sfreccia accanto alla sua folle velocità di crociera. Ormai ne riconosco un po’ di più rispetto a qualche anno fa. Come allora, mi emoziono. La malinconia alla fine di tutto, anche quella rimane.
Però adesso so che qui sono a casa. Per oggi, poi, doppiamente.