Di rabbia e poesia | Il Lombardia 2017

Il sole caldo del pomeriggio, le ombre che si fanno più lunghe e gli alberi multicolore da cui ogni tanto si staccano le foglie ormai secche che scrocchiano sotto le scarpe. Le foglie morte, una definizione forse troppo lugubre per delle giornate così, che di lugubre non hanno nulla. C’è giusto quel velo di malinconia che l’ultima corsa dell’anno porta con sé, inevitabile, ma dolce come il profumo dell’osmanthus tipico di questa stagione.

Sul lungolago di Como si respira attesa, speranza. È il giorno giusto per sognare. Lo sento non appena vedo l’arrivo che, nonostante tutto ciò che uno si porta dentro, c’è sempre un luogo che ci salva. A volte, davvero, basta semplicemente l’aria.

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Non so come stia andando la corsa, quando ci sei dentro non lo sai e non lo vuoi sapere. La si aspetta come una sorpresa, col cuore in gola e la voglia di emozionarsi. Non serve altro in questo momento.
C’è un nome che scivola di bocca in bocca, ma non vogliamo pronunciarlo troppo forte, non ancora. Sappiamo bene che il ciclismo può fregare fino all’ultimo millimetro, ed è proprio questo il suo bello e il suo brutto insieme.

Il traguardo è sempre l’ultimo limite da superare e il primo dei successivi, perché in fondo non ci si sente mai arrivati davvero e Vincenzo lo sa bene. Con le mani disegna il numero 50, come le sue vittorie, e sorride al mondo prima di piombare tra le braccia dei massaggiatori.

Cosa pensi in quegli istanti dove puoi permetterti di lasciarti portare, abbassare la testa sul manubrio, e rimanere da solo con te stesso mentre intorno infuria il caos? Cosa senti, in quell’unico sprazzo di intimità che ti viene concesso quando tutti gridano il tuo nome e vorrebbero solo abbracciarti forte e dirti grazie?

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È quello, il momento di passaggio tra un limite e l’altro, come uno scivolare improvviso fuori e dentro la realtà. Come un salto nel vuoto, col cuore che pare voglia scappare via dal petto, tanto batte quando la fatica gli crolla addosso tutta d’un colpo. Che poi è così per tutti quelli che arrivano alla fine, dal primo all’ultimo: il connubio di rabbia e poesia è la combinazione perfetta per lasciare un segno, visibile sui loro volti sfiniti e sudati. Ed è proprio ciò che avevo sperato di trovare qui per sentirmi compresa, di nuovo. Ancora una volta il ciclismo sa di cosa ho bisogno per curare i miei graffi e me lo regala senza chiedermi nulla in cambio.

Adesso, però, la stagione è alla fine, c’è qualche mese di pausa prima di ritornare sulla strada, dietro a questo carrozzone. Un’ultimo sguardo ai bus e a chi lavora per sistemare tutto, poi è tempo di tornare a casa.

C’è un tramonto perfetto che sembra fatto apposta per l’ultimo fotogramma di questo film lungo otto mesi. Non potevo chiedere niente di diverso o di migliore.

È stato bellissimo, come tutte le prime volte.

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