La corsa che non c’è | Grande Trittico Lombardo 2020

Sono al telefono con Chiappucci, per lavoro. Io che sono sempre puntuale, quando non in anticipo, ho sforato di un quarto d’ora l’appuntamento con la chiamata e mi sembra di essere già in un ritardo colossale.

“Stavo guardando il Trittico, con un occhio, mentre con l’altro scrivevo”, gli dico per prima cosa, per giustificarmi. Mi chiede dove sono i corridori, sono appena entrati a Varese, diluvia, ma qui no. C’è solo l’aria fresca che entra dalla porta e mi fa venire un po’ di pelle d’oca sulle braccia. Dopo giorni di caldo, fa piacere.

La telecronaca è l’unico filo diretto che ho con la corsa. Il maltempo ha bloccato quasi ogni segnale: non c’è nessuna copertura, se non quella delle telecamere fisse.

In pratica devo giocare a inventarmi questa strana versione della corsa di casa che in questo 2020 altrettanto strano ne mette insieme tre, incollandone i vari scampoli: Legnano centro, il lunghissimo rettilineo di Lissone, la strada dopo il Piccolo Stelvio con l’erba che in certi punti è più alta di me, i curvoni della salita del Montello, la rotonda di piazza Monte Grappa, via Sacco tra le ali di una folla che non c’è.

Se chiudo gli occhi riesco quasi a sentire gli odori, i suoni, ogni sensazione, come se fossi lì invece che a poco meno di trenta chilometri di distanza,

perché se c’è una cosa per cui l’amore è benedetto e maledetto insieme, è che ti ricordi ogni dettaglio di ciò che ami, anche quello più insignificante o quello più doloroso. E te lo porti dietro. Comunque vada, ne resta sempre una traccia – pronta a riemergere – da qualche parte.

Quando manca poco alla fine, uno dei due Izagirre – Gorka – prende e se ne va da solo: faccio appena in tempo a scorgere un lampo di azzurro che squarcia da sotto il cielo plumbeo di Varese che non smette di scaricare acqua. La sete atroce, il sole a picco e la polvere bianca delle colline intorno a Siena appiccicata in ogni dove, sembrano tutte cose di una vita fa invece che dell’altro-ieri.

Questo perché agosto è un mese balordo: soprattutto quassù dove, tra i laghi e le Prealpi, basta un temporale e l’aria dell’estate comincia a sapere già di autunno.

Fuori piove – anche qui, adesso. Ho da fare e non riesco a vedere nemmeno la fine. Significa che, per questa volta, il gioco dell’immaginazione deve essere tale fino in fondo. Riguardo solo qualche fotografia, il resto di questa corsa che non c’è rimane tutto quanto da inventare, allacciando la fantasia alla memoria.

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