Sono le 7.30 del mattino, è domenica e sono sveglia sotto al piumone con quella vaga stretta alla bocca dello stomaco che è un misto tra l’ansia e l’euforia. È più o meno un anno che non mi sento così, dal giorno della mia laurea in pieno lockdown. Uno e mezzo, se contiamo l’ultima corsa che ho vissuto sulla mia pelle, in un pomeriggio d’autunno sul lungolago di Como in cui non avrei mai creduto che tutto potesse ribaltarsi nel modo assurdo e bastardo in cui poi lo ha fatto.
Faccio tutto con il timore che le mie aspettative si infrangano miseramente contro un posto di blocco, ma li passo tutti senza che nessuno mi fermi. Spengo il motore proprio nel punto che avevo minuziosamente cercato su Google Maps e abbasso il finestrino per lasciare entrare l’aria del primo giorno di primavera. Scarto l’alluminio che avvolge il mio panino al salame e in pochi morsi lo finisco, mentre continuo a sentirmi all’interno di una specie di bolla onirica. Una bolla che si infrange quando il gruppo sbuca dal fondo della strada che porta da Brenta a Casalzuigno, e capisco che questo scampolo di campagna verde brillante, non lontana dalla statale, mi ha riportata alla realtà.
Da qualche parte dentro di me sento qualcosa che fa “clac”, come una chiave che finalmente è riuscita a trovare la giusta inclinazione per sbloccare una serratura che girava a vuoto.
È una porta che si riapre e ogni giro è come olio che ne lubrifica i cardini. Mi sposto di continuo, risalgo la Valcuvia, prima a Comacchio – che è un nome che mi fa sempre pensare al delta del Po (e alle anguille che non mangerei mai), un luogo che non c’entra nulla con questo – e poi a Orino.
Gli ellebori selvatici spuntano sul limitare del bosco dove c’è ancora qualche rimasuglio della nevicata di venerdì, mentre gli alberi da frutto sono carichi di fiori. Inverno e primavera, in questa corsa, stanno sempre insieme: non so se sia questa la famosa mezza stagione che ormai si dice non esista più, ma forse ci si avvicina molto.
Mi perdo in pensieri come questi mentre chiacchiero con un’amica che mi ha raggiunta, seduta a cavalcioni del muretto vicino al cimitero e poi appoggiata alla staccionata di una casa che mi ha affascinata fin dalla prima volta che l’ho vista, un villino al quale i proprietari hanno deciso, chissà per quale motivo, di affibbiare qualche tratto da ranch americano.

Elisa Longo Borghini è una saetta tricolore che vola veloce. Nonostante la fatica e il vento contrario, un sorriso lieve le increspa le labbra. Non si volta, ma anche se lo facesse, alle sue spalle non c’è nessuno. Oggi è la giornata perfetta e lei lo sa: tutto o niente è il riff di chi, questo weekend, ha saputo trovare il coraggio di osare e, insieme, la forza di arrivare per primo fino alla linea bianca.
Riaccendo la macchina e dalla radio esce, un po’ gracchiante, il ritornello dei Negrita: che rumore fa la felicità. Ma mentre guido verso casa, nella luce che inclina verso il tramonto, il mio cervello associa e ripete parole, come spesso accade quando mi ritrovo sopraffatta dalle sensazioni. E così mi vengono in mente i versi di un’altra canzone.
La stagione dell’amore viene e va
All’improvviso senza accorgerti, la vivrai, ti sorprenderà […]Ancora un altro entusiasmo ti farà pulsare il cuore
Franco Battiato, La stagione dell’amore
Nuove possibilità per conoscersi
E gli orizzonti perduti non si scordano mai
La stagione dell’amore viene e va