Ho capito che, nonostante tutto, la gente continua ad amare il ciclismo. E lo ama soprattutto quando noi corridori facciamo più fatica, quando sputiamo l’anima, quando sembriamo crepare da un momento all’altro, forse perché sperano di ereditare qualcosa, magari la bici. Io credo che il ciclismo, soprattutto in quelle tappe lì d’alta montagna, sia una specie di duello al sole fra l’uomo e il corridore: il corridore spara all’uomo, cioè a se stesso, e prosegue fino all’arrivo. È per questo che si arriva morti.
Adesso scappo. E domani sarò a casa. Stessa spiaggia, stesso mare. Ciao a tutti.
Michele
[Il diario del gregario]
L’ho letto che già non c’eri più, quel libricino con la copertina rosa perché parla del Giro d’Italia. Ma lì dentro ci sei, tutto intero, e so che se voglio pensarti ridendo devo mettermi lì, tra quelle pagine. In caso contrario scusa, Michele, ma mi diventano gli occhi lucidi e non posso farci niente.
So bene che non sei l’unico ad essersene andato in un frullo d’ali, eppure il volo che hai spiccato all’improvviso ci ha spaccato il cuore. E ci si spezza ancora la voce, a parlare di te. Ci viene giusto un po’ più facile scrivere, perché queste sono parole che tengono finalmente fermi, insieme, pensieri e memoria. Sì, perché ormai sono solo i ricordi che rimangono a tenerci compagnia, con la forma inconfondibile del tuo sorriso.
Me lo ricordo bene, sai? Era un giorno umido di settembre, in quell’aria perfettamente autunnale che conosco bene perché è quella di casa mia. Partiva da qui, la Tre Valli, e io respiravo ciclismo con felicità inconsapevole, senza aver ancora capito davvero quanto potesse contare. Praticamente non sapevo chi fossi e, se non fosse stato per la mia migliore amica, non avrei avuto nulla di te da conservare.
Sono solo briciole, è vero. Ma, come in certe favole, sono le briciole a indicarci la via.
Anche il tuo modo di correre era creare un sentiero di briciole, indispensabili. Prima le hai seguite, per imparare, poi sei stato tu a lasciarle a terra per chi doveva partire dopo di te, senza risparmiare né fiato né energia. Senza risparmiare la vita.
Credevi, scherzando, che volessimo ereditare la tua bici. (Guarda le parole chiuse in un diario, come possono ricevere nuovo senso dopo anni.) No, lei no, tranquillo, ma la tua forza e la tua leggerezza sì, le vorremmo un po’ anche noi. Anche perché, di sicuro, col tuo occhio da aquila ci vedi e sai che facciamo ancora fatica a trovarle, quando ci spunti tra i pensieri.
Come siamo cocciuti, hai ragione, Michè. Tu vorresti vederci ridere come facevi sempre, mentre stiamo con lo sguardo per aria a cercarti tra le nuvole o in un battito d’ali.
Ti prometto che ci riusciremo, che ci riuscirò anche senza aprire quel diario e leggere le tue battute, segno di quell’anima leggera da giullare che ti portavi addosso.
Ti prometto che succederà, Michele. Dacci solo ancora un po’ di tempo.
Poi vedremo un’aquila volare e, finalmente, sorrideremo.
