Parole in Giro – Week 1 | Giro d’Italia 2021

Ho deciso di provare a trovare una parola (o poche di più) per segnare ogni tappa di questo Giro d’Italia, come un piccolo diario di viaggio a distanza fatto di appunti sparsi presi qua e là. Si comincia con una settimana lunga dieci giorni. (E sì: chiamo tutti per nome.)

“Ritorno” – Tappa 1 | Torino – Torino

La mano segna il countdown e si abbassa per dare il via, mentre i corridori vengono snocciolati lungo la rampa di Piazza Castello come grani di un rosario in una preghiera collettiva che Torino recita a metà fra il ringraziamento e le speranze, soffocate dai tempi ma mai del tutto spente.

La gente scende lungo la strada e i corridori tornano a sentire l’aria di mezza primavera che a maggio, qui in Italia, può passare dal caldo al freddo in men che non si dica. Si ricrea quel rito capace di chiamare a raccolta tutti, frutto di un qualche richiamo sotterraneo radicato in un DNA ormai secolare.

Filippo è uno degli ultimi a partire. È un lampo arcobaleno che illumina il pomeriggio bigio lungo le sponde del Po, la traccia velocissima di un’iride che si ritrova, alla fine, di nuovo ricoperta da uno dei pochi colori che può permettersi di farlo senza offenderla: il rosa. Una sfumatura potente che scrolla via dalle spalle tutte le insicurezze e i dubbi che le hanno appesantite nelle ultime settimane. Non per magia, ma per fatica. Perché una cosa, Filippo, ha detto di averla imparata anche questa volta: “Dai sacrifici si ritorna”.

“Inseguire” – Tappa 2 | Stupinigi – Novara

Sono tante le leggende che circondano i fuochi fatui, piccole fiammelle blu che per qualcuno attirano i viandanti verso il loro destino o che, per altri, sono la manifestazione delle anime di chi non c’è più.

Sotto i tubolari scorrono i colli che portano impresso il passo di don Bosco. Il primo gran premio della montagna è uno spartiacque che, certo, nulla ha a che vedere con i passi alpini, lì in mezzo alle campagne dove nascono vino e riso, ma che – guardacaso – ha il potere di tingere di blu il busto di chi lo attraversa per primo. Vincenzo acchiappa quello scampolo di magia e gli basta, per oggi il suo destino lo ha incontrato.

Davanti restano in due, in una di quelle fughe dove il gruppo sembra la muta di cani che bracca la volpe, a poca distanza, e la illude di poterla scampare quando lei stessa sa benissimo che non succederà mai, eppure continua a correre.

Il fuoco fatuo è sempre là davanti a tutti, brilla, attira, negli ultimi metri quasi acceca e confonde i ranghi della volata. Da un punto lì in mezzo sbuca fuori Tim, così veloce da lasciare dietro di sé chiunque altro. Disegna una W con le mani, la fiammella scompare, e allora tutto diventa chiaro.

“Impromptu” – Tappa 3 | Biella – Canale

Sarà che lavoro e che ho mille cose intorno a cui prestare attenzione, ma la tappa mi scivola sotto il naso fino a quando manca poco dalla fine e mi accorgo che della fuga non è rimasto quasi nulla.

C’è solo un corridore davanti, a prendere il vento dritto in faccia e a sentirne tutto il sapore entrargli nella bocca spalancata in una specie di sorriso con cui respirare il più possibile.

Dietro è troppo tardi per giocarsela, ma Giulio e Tony tentano lo stesso una rapida sortita. Non ce n’è nemmeno per loro. Quando se ne rendono conto si guardano, si battono una pacca a vicenda sulle spalle e tirano i freni.

Taco è ancora lì da solo, solo ahead, con le urla del direttore sportivo nelle orecchie e quelle del pubblico che chissà se riescono a sovrastare la voce di Piva che bara sui secondi di distacco per spingerlo fino alla fine. Prima una mano sul volto, poi sul casco: gesti di chi non riesce a credere a quello che ha appena fatto, proprio lui che era lì lì per smettere con il ciclismo.

“Volevo solo andare in fuga”. E invece l’olandese biondo che viene da Rotterdam, sulle strade del Piemonte, da quella fuga ha composto un improvviso degno di Chopin.

“Acqua e vino” – Tappa 4 | Piacenza – Sestola

Alessandro De Marchi ha i capelli rossi e “Rosso di Buja” è il suo soprannome. Buja è casa sua, un piccolo paese del Friuli-Venezia Giulia non lontano dal fiume Tagliamento: un territorio nel quale si nasce portando dentro di sé i geni di chi è abituato a non mollare, a combattere. “Rosso di Buja” è anche un’etichetta apposta sopra ad alcune bottiglie di Cabernet Franco da lui prodotte. E non basta: anche la maglia che indossa ha un colore nuovo, scelto apposta per l’occasione tra le tinte rosse del vino.

In un giorno di maggio che sembra novembre piove incessantemente e salire sugli Appennini è sofferenza. Mi viene automatico pensare all’acqua e al vino, che sgorgano dal costato di Cristo sulla croce e che sono il suo primo miracolo nel giorno di una festa di nozze, quando dice a sua madre “Non è ancora giunta la mia ora”.

Alla fine sopra a quella maglia color vino rosso ce n’è una rosa. Negli occhi di Alessandro le lacrime che vorrebbe lasciar sfuggire per raccontare nel modo migliore quanto valga per lui questo momento – un’ora finalmente giunta – sognato fin da quando aveva sette anni e cercato a lungo seguendo l’insegnamento della “buona vecchia scuola: non mollare mai”.

L’acqua continua a cadere e il vino che si mischia con lei, adesso, è quello bianco e frizzante della festa.

“Dolore” – Tappa 5 | Modena – Cattolica

I piattoni, per chi va dal fruttivendolo, sono un tipo di fagiolo lungo e – appunto – piatto. Nulla a che vedere con questi chilometri che attraversano l’Emilia e la Romagna, se non per il fatto che è tutta pianura.

Piattone, nel ciclismo, è spesso sinonimo di tappa noiosa, come quelle che nei roventi pomeriggi di luglio, al Tour ci fanno abbioccare davanti alla tv. Scivolare verso la Riviera sembra, quindi, una formalità da liquidare con una volata al sapore di mare.

C’è solo una cosa in genere, oltre ai ventagli, che riesce a smuovere queste tappe ed è una cosa che fa male: cadere.

Nei paesi lungo la costa, che attendono ancora insonnoliti un’estate migliore, le strade si stringono e curve e spartitraffico diventano ostacoli ben peggiori di una borraccia gettata a terra. Cade Pavel e basta guardargli il volto per capire che qualcosa non va. Cadono Joe, Mikel e François: due ripartono a fatica, uno non riesce neanche a sedersi sull’asfalto che ora sembra bruciare anche se non ci sono trenta gradi. Il portellone dell’ambulanza che porta via Mikel – clavicola rotta e costole incrinate – si chiude e il suo fragore è quello dell’ennesima porta che sbatte violenta, dritta in faccia al coraggio del giorno prima.

“Terremoto” – Tappa 6 | Grotte di Frasassi – Ascoli Piceno (San Giacomo)

Sotto una pioggia battente e gelida, salite, discese e falsipiani si alternano ai paesi spezzati dal sisma. Il vento soffia folle e sconquassa il gruppo che si sfalda sotto le trenate potenti di Filippo.

Sull’ultima salita, dei tre davanti ne rimane uno: è un giovane svizzero di nome Gino, come Bartali, si alza sui pedali e se ne va da solo. L’ho visto correre per la prima volta quasi quattro anni fa a Lugano. O meglio, l’ho visto cedere davanti ai miei occhi, talmente svuotato di energie da non reggersi nemmeno in piedi. Lo guardo, ora, stringere i denti mentre ogni pedalata sembra pesare una tonnellata, con il viso trasfigurato dalla pioggia e dalla fatica. Non so se lo ricorda, quel giorno di maggio, mentre va su verso San Giacomo e ha sul collo il fiato di chi, dietro di lui, sta andando in cerca della Maglia Rosa.

Ma Gino è uno dei compagni di squadra di Mikel e allora vuole provare a tutti i costi a riscattare il terremoto di ieri, per dimostrare ancora una volta che c’è sempre un modo per onorare un capitano ferito: andare oltre se stessi, prendere su di sé una responsabilità in più e riuscire a trasformare le proprie debolezze in forza.

“Istante” – Tappa 7 | Notaresco – Termoli

Il freddo del giorno prima si fa sentire persino nelle ossa, l’andatura è lenta sia davanti sia dietro, tanto che i tempi si dilatano oltre la tabella di marcia.

A destra i colli verdi, a sinistra il mare e la Costa dei Trabocchi che si allungano sull’acqua con le loro palafitte. Tra Abruzzo e Molise il profumo degli arrosticini caldi si mischia a quello della salsedine che si appiccica alla pelle spinta addosso dal vento contrario che aggiunge peso nelle gambe.

I treni si sciolgono e si ricompongono con movimenti che, a guardarli dall’alto, sembrano quelli dell’affascinante quanto misteriosa danza degli storni. Sull’ultima, improvvisa, rampa qualcuno prova ad anticipare, Fernando parte lungo, Caleb gli va dietro e sembra risucchiargli tutta quanta l’energia: una progressione furiosa che lo getta davanti a tutti come una palla di cannone alla massima velocità. In volata tutto cambia e tutto si decide all’ultimo istante.

“Fede” – Tappa 8 | Foggia – Guardia Sanframondi

Ci vogliono almeno 60 chilometri prima che la fuga giusta prenda quel largo sufficiente a far capire, a chi ha lottato con tutte le sue forze per entrarci, che oggi gli è concesso di continuare a farlo fino alla fine.

La caccia serrata del gruppo si placa e si trasforma in bonaccia, anche se qui non siamo al mare, bensì in una terra selvaggia e millenaria, il Sannio. Terra di vino, olio e ceramiche, con il massiccio del Matese che è uno di quei luoghi così incredibili e suggestivi da essere già da tempo nella mia lunga lista dei “viaggi che vorrei”.

Victor è francese, ha 25 anni ed è al suo primo Giro. Di cognome fa Lafay, che in italiano suona come “la fé”, un modo poetico e arcaico per dire “fede”. Quella fede che è anche fiducia nelle proprie gambe, nella propria testa, nella determinazione che oggi si è rivelata fondamentale. È lei che gli occorre per scovare il momento giusto per inseguire Giovanni, raggiungerlo e saltarlo. È lui l’ennesimo solo che va via leggero sui pedali sull’ultimo strappo di giornata per arrivare su, fino a Guardia Sanframondi che dall’alto, con il suo castello, domina da secoli tutta la valle.

“Dare tutto” – Tappa 9 | Castel di Sangro – Campo Felice

Sono in un borgo a mille metri di altezza, in mezzo a una valle verdissima, dove il telefono non prende se non in alcuni punti e figurarsi se c’è un televisore da cui poter spiare almeno una minima frazione della tappa. In realtà per qualche ora mi dimentico persino che ci sia, una tappa.

Ci ripenso più tardi, quando mi accorgo che la connessione funziona, guardo l’ora e capisco che posso approfittarne per controllare il risultato. Quando vedo quello che ha fatto Egan, lo vedo in Maglia Rosa, posso immaginarmi esattamente tutto quello che è successo nell’ultimo chilometro.

Non c’è asfalto, sulla pista da sci di Campo Felice, le ultime rampe sono sulla terra nuda, battuta dalle gocce di pioggia. Lo sterrato, nel ciclismo, è una poesia epica. Una sofferenza che mette altro peso alle gambe già indurite dalla fatica, le spezza così come spezza il respiro. Unito alla salita è il terreno che chiama allo scoperto i combattenti migliori.

Egan tira fuori, da quel suo corpo esile da scalatore, una forza inaudita che nemmeno lui pensava di possedere. Dirà che è stata la sua squadra a credere in lui, più che lui in se stesso. E questo – l’ho provato sulla mia pelle in questo stesso giorno – è il segno che c’è solo una cosa in grado di spingerci fino alla vetta facendoci dare tutto quello che abbiamo, e anche di più, ed è l’amore, qualunque forma esso assuma.

“Tattica” – Tappa 10 | L’Aquila – Foligno

È facile stendere schemi prestabiliti; meno facile, specialmente quando i fattori in gioco sono molteplici, riuscire a rispettarli. Dalla carta alla realtà le cose possono cambiare in un attimo microscopico e per mille motivi diversi e non serve andare tanto lontano per averne la prova.

Certo, la determinazione conta, è fondamentale, e passa anche attraverso una capacità di reinventarsi che in alcuni casi è l’unica possibilità che resta a chi vuole agguantare un sogno a tutti i costi.

Il modo di correre di Peter ne è la dimostrazione. A chi lo ha dato per finito, con quell’acidità che qualcuno riesce a riservare soprattutto a chi ha saputo vincere tutto o quasi, ha risposto adattando se stesso, andando alla ricerca di espedienti diversi per raggiungere i propri obiettivi.

Sulla strada verso Foligno si è trattato di sfinire più velocisti possibile grazie a un lavoro di squadra studiato a puntino, perché per vincere – dice lui – è meglio andare a tutta tutto il giorno. Specialmente quando, quello successivo, si riposa.

(Foto nel post © Giro d’Italia – Lapresse)

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