Parole in Giro – Week 3 | Giro d’Italia 2021

La terza settimana è quella che credevi non arrivasse mai e invece ti volti un attimo ed è già finita. E con lei tutto il Giro d’Italia.

Forse è banale dire che tornare a incrociarlo per strada, per un paio di giorni, è stato semplicemente bello, ma è così. “Bello” è una parola generica, ma racchiude tutto quell’insieme di sensazioni che, in momenti come questi, riescono a riallinearmi con il mondo.

Scrivere gli ultimi appunti di questo diario di viaggio un po’ sui generis è stato un po’ meno semplice rispetto alle scorse settimane, ma forse perché, inconsciamente, non avrei voluto lasciarlo andare. Le parole, però, restano e, con loro, anche le storie. (Qui e qui potete rileggere tutto il resto.)

Dai!” – Tappa 17 | Canazei – Sega di Ala

È finalmente primavera, anche in Trentino. Dopo giorni di pioggia il sole sembra voler trarre un po’ in inganno il gruppo su ciò che lo attende oggi, dopo l’ultimo giorno di riposo alle spalle. Dalla Val di Fassa si scende per poi tornare a puntare lo sguardo verso l’alto, prima sul Monte Baldo e infine sulla salita che porta all’altopiano dei Monti Lessini, da Sdruzzinà a Sega di Ala.

Una fatalità di troppo, giù dal Passo San Valentino, mette di nuovo a terra Giulio e Vincenzo, tra gli altri. Remco chiude la fila, ma i suoi fantasmi gli presentano il conto, ancora una volta in discesa. Ripartono tutti, anche se il dolore rallenta sempre di più le pedalate, ma arrivare il più avanti possibile è un dovere non scritto da rispettare.

Leggenda vuole che ogni corridore, in un grande giro, debba attraversare una giornata di crisi nera che può arrivare quando meno te lo aspetti – e, chiaro, uno spera sempre che questo accada in una tappa meno importante delle altre. Per Egan, però, questo giorno è oggi. Vede Simon alzarsi sui pedali e andar via e sente la Maglia Rosa sbiadirglisi addosso.

Scuote la testa, non tiene il ritmo e probabilmente getterebbe al vento tutto se non fosse per Daniel che è rimasto con lui e, con la mano, lo incita a proseguire come un tifoso qualunque, come uno di quei colombiani che colorano tutte le strade del Giro di blu, giallo e rosso e, a guardarli, ti senti stringere qualcosa dentro al petto per tutta quella passione che si portano dietro.

Quel gesto così semplice, comunque, funziona: Egan soffre, ma si tiene stretta quella maglia. A Campo Felice, quando ha vinto la tappa, diceva che la squadra credeva in lui più che lui in se stesso e oggi potrebbe pensare la stessa cosa.

Avere a fianco qualcuno che ti dice “dai!”, che sa quanto vali davvero anche nei momenti più neri ed è lì per ricordartelo quando il mondo fa di tutto per fartelo dimenticare: ecco di cosa avremmo sempre bisogno.

Ruggire” – Tappa 18 | Rovereto – Stradella

Mentirei se dicessi che mi ricordo cos’è successo fino al momento in cui vedo Remi scattare sulla salita di Castana e gettarsi a capofitto in discesa, pennellando le curve che attraversano le vigne dell’Oltrepò Pavese.

Questo finale che fa su e giù ha qualcosa che forse, ad Alberto, ricorda le Fiandre, anche se qui non ci sono né muri né pavé. Si vede che freme dalla voglia di inseguire Remi e, quando non si tiene più, parte anche lui.

È una voglia matta di tornare a ruggire, la sua, di saziare quel maledetto digiuno che da quel giorno sulle strade fiamminghe gli attanaglia lo stomaco con le aspettative degli altri e le sue stesse speranze disattese. A guardarlo sembra di rivedere quella domenica di marzo in cui si è lasciato tutti gli altri alle spalle, favoriti compresi, facendoci saltare in piedi sul divano.

Due luoghi completamente diversi, le Fiandre e l’Oltrepò, e due primavere così diverse fra loro, tra cui sembrano passate intere ere geologiche con tutto quello che ci è accaduto in mezzo. Ma in fondo non è scritto in modo visibile dove e quando il destino decide di restituire a un leone il suo ruggito, la sua zampata. Arriva un momento in cui uno annusa l’aria e se lo sente, che quello è il giorno che aspettava da tanto tempo.

Nostalgia” – Tappa 19 | Abbiategrasso – Alpe di Mera

Ho calcolato tempi e battelli fino a tardi per poter essere sicura di arrivare a Stresa. A furia di guardare l’altra parte del lago senza poterci andare da oltre un anno e mezzo, non ero più sicura di sapere come fare. La tagliata di tonno che mangio al ristorante mi sembra la più buona di sempre.

Sembra estate oggi, ma questa è una città ferita dal dolore di una tragedia che ha i contorni dell’assurdo e lo si respira nell’aria calda del lungolago pieno di alberghi di lusso ancora vuoti e di gente che aspetta il passaggio della corsa come un istante prezioso in cui poter pensare ad altro e a cui tornare con la mente quando servirà ripescare qualcosa che fa star meglio. Gli istanti che salvano, sono quelli da tenerci il più stretti possibile.

Passa la fuga, il gruppo la insegue, un blocco qua e uno là, non troppo distanti tra loro. Sono scesi da Gignese come frecce scoccate a tutta velocità. È una sferzata veloce di vento in faccia che mi porta via anche qualche lacrima. Mi verrebbe da tendere la mano per acchiappare non so nemmeno io cosa, perché è già svanito tutto in un attimo.

Guardo gli ultimi chilometri sul battello che ci riporta a Intra e anche oggi vorrei spingere forte Egan, ma è bravo, sa resistere di nuovo.

Mi sembra tutto così vicino e insieme tremendamente lontano: la stessa sensazione di quando torni a casa dopo una vacanza e non sai bene a quale luogo appartieni. Nel dubbio, hai nostalgia.

Generosi” – Tappa 20 | Verbania – Valle Spluga – Alpe Motta

Riattraversare il lago per la seconda volta in due giorni fa abbastanza strano. Non ci ero più abituata. Pensando alle strade chiuse vado a piedi fino a Pallanza, quasi mi perdo fra i vicoli e maledico tutti i parcheggi liberi che incrocio.

Trovo un solo buco alle transenne, l’unico da cui posso vedere qualcosa, ovviamente sotto al sole che cuoce tutto e mi lascia in faccia una bella abbronzatura a metà, da mascherina.

La gente qui non vede l’ora di veder arrivare Filippo, l’eroe gentile di casa e vorrebbero abbracciarlo tutti. Chissà quanti dicono di conoscerlo solo per orgoglio – o forse davvero qui lo conoscono tutti, il ragazzo di Verbania diventato campione, che ha indossato la Maglia Rosa e poi ha aiutato il suo capitano a conservarla, dando tutto giorno dopo giorno.

Quando rientro a casa la corsa è già sul San Bernardino e mi vengono in mente tutte quelle gite domenicali lassù – compreso l’unico corso di sci che abbia seguito in tutta la mia vita – che abbiamo smesso di fare senza un valido perché.

Guardo Damiano e Pello, Romain e Michael all’attacco insieme: un capitano e un gregario ciascuno. Di questi due, l’ultimo a staccarsi è lo spagnolo e Damiano, che gregario lo è sempre stato fino a questo Giro che ha ribaltato tutto quanto per lui, perde un paio di pedalate per dirgli grazie con una pacca sulla spalla.

Quanto c’è, dentro questo gesto apparentemente così semplice, quello di chi sa cosa significa una vita intera spesa, con tutta la generosità del mondo, ad aiutare gli altri ad arrivare primi. E oggi il primo è lui, sull’ultima salita, con una vittoria di quelle capaci di farmi piangere più di quanto abbia fatto in tutti questi finali di tappa.

Coriandoli rosa” – Tappa 21 | Senago – Milano

Ho conservato in una scatola una manciata di coriandoli rosa raccolti due anni fa sul San Luca, a Bologna. In realtà dalla scatola si sono un po’ sparsi ovunque, quindi capita che ogni tanto me ne ritrovi qualcuno per caso in un cassetto o in un quaderno.

Anche quel giorno c’era una cronometro, era un altro inizio, mentre oggi siamo già alla fine di tre settimane che ancora non mi spiego come abbiano fatto a volare così in fretta.

Quando penso a quei coriandoli, sparati in aria per ogni Maglia Rosa, mi chiedo cosa provi un corridore che si ritrova a inondare i fotografi di spumante immerso in quella nuvola, per la prima, per l’ennesima o per l’ultima volta. Felicità, paura, orgoglio, forza e debolezza insieme, probabilmente, anche quando nessuno può più strappargliela via.

Dentro di sé Egan ha tutto questo e chissà che altro ancora, mentre bacia e culla il trofeo senza fine e pensa già alle cose semplici che farà una volta che avrà smesso con il ciclismo. Come se fosse già oltre tutto quanto. Si vede anche nei suoi occhi che guardano sempre un verso punto lontano, chissà dove, anche quando pedala.

Quando è finito tutto, per terra, in Piazza Duomo, restano solo i coriandoli rosa e oro e mi chiedo se qualcuno, prima che i netturbini li abbiano spazzati via, sia riuscito a infilarne una manciata nello zaino per ricordo.

(Foto di Egan Bernal © Giro d’Italia)

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