Scrivere sul blog, quest’anno, è stata davvero un’impresa, ancora di più rispetto al 2020. Sarà che scrivere tanto, per gli altri, per lavoro, ha prosciugato un po’ le energie per farlo anche qui sopra e mi dispiace.
A pochi giorni dall’inizio di un nuovo anno che si preannuncia non meno complicato dei due precedenti, non ho intenzione di fare buoni propositi pronti a essere immediatamente smentiti (come sempre), ma mi tengo stretta la speranza di potermi regalare del tempo per tornare a raccontare (e raccontarmi) anche da queste parti.
Se però c’è una cosa che mi ha dato molta soddisfazione, nonostante tutto e tutte le fatiche, è stato il riuscire a raggiungere il risultato che mi ero proposta per la reading challenge del 2021 impostata sul mio account Goodreads, ovvero leggere almeno trenta libri. E sì: dopo tanto tempo, questa volta ce l’ho fatta. Obiettivo 2022? Ho alzato l’asticella: trentacinque libri.
Come lo scorso anno, vi dico quali sono i cinque titoli che, per un motivo o per un altro, mi sono piaciuti di più.
- Il piatto piange, Piero Chiara
Pur essendo luinese come Chiara, lo ammetto: l’unico suo romanzo che io abbia mai letto, fino a quest’anno perlomeno, era Le avventure di Pierino al mercato di Luino – testo fondamentale per noi alunni delle scuole elementari cittadine (perlomeno negli anni in cui le frequentavo io, adesso non ho idea se sia ancora così).
Nella mia libreria al momento ci sono solo altri tre suoi romanzi – conto di ampliare la serie pian piano – tra cui, appunto, Il piatto piange, in un’edizione decisamente vintage risalente al 1964, un paio d’anni dopo la sua prima pubblicazione.
Pungente, ironica, smaliziata, ma senza risultare mai volgare, quella di Chiara è stata una penna in grado di creare personaggi talvolta talmente surreali da risultare perfettamente inseriti – posso garantirlo – nella vita quotidiana di questa città affacciata sul lago Maggiore, a pochi passi dalla Svizzera.
In questo libro, da una parte, ci sono le storie che girano intorno al gioco d’azzardo, agli amori (più o meno romantici) e alle loro conseguenze, alla Storia che, pur lontana, finisce per interessare da vicino anche l’esistenza del paese. Dall’altra una geografia che resta lì a incorniciare ogni cosa, tra il suo apparire come uno sfondo semi-dimenticato e l’essere talmente parte di ciascuno che evaderne è quasi impossibile.
Un poeta o un pittore che nascesse qui inosservato e prima di legarsi all’ambiente volasse via, forse troverebbe la strada della liberazione.
Ci sarà stato qualcuno che l’ha trovata, come Bernardino che dipingendo in tanti luoghi diversi ha sempre ricomposto questo paesaggio, mescolandolo ad altre cose del mondo. Ci sarà certamente stato fra di noi, senza che ce ne accorgessimo, qualcuno a cui è riuscito di evadere in un modo che a nessun altro è mai stato possibile.
- L’acqua del lago non è mai dolce, Giulia Caminito
Questa acqua non è quella del “mio” Verbano, bensì del lago di Bracciano. Ma quando si tratta di lago, non riesco a non lasciarmi incuriosire da un libro che lo riguarda, qualsiasi esso sia e ovunque esso si trovi. Perché, pur essendo fatto d’acqua come il mare, il lago parla di storie totalmente diverse da quelle che sanno di sale e salsedine. Ha tutto un altro modo di inquadrare l’esistenza di chi ci vive, che sia lì da sempre o da poco, come nel caso di Gaia, la protagonista di questo romanzo.
L’acqua del lago non è mai dolce non è un libro semplice, già dal titolo lo si può intuire. Un forte senso di amarezza, rabbia e inquietudine lo attraversa dall’inizio alla fine, lasciando addosso queste stesse sensazioni anche a chi lo legge. Accompagnare Gaia lungo tutte le difficoltà che le si presentano davanti – fra le reazioni spesso violente con cui prova a contrastarle, in una spirale di disagio da cui uscire non è affatto facile e, probabilmente, quasi impossibile senza una mano stabile a cui aggrapparsi – è un viaggio affannoso, anche per via del ritmo della scrittura di Caminito che, con l’uso della prima persona singolare, restituisce in pieno tutta la fatica di una vicenda ben poco felice.
- Questo immenso non sapere, Chandra Livia Candiani
L’ultimo libro che ho letto nel 2021, letteralmente, e che mi ha lasciato molto su cui riflettere. Sarà un “libro disordinato”, come lo definisce l’autrice stessa, ma nei frammenti di cui è composto ci sono parole che vanno a colpire dritte là dove devono colpire, frasi che ho sottolineato un po’ ovunque e stralci di poesie che devo trascrivermi da qualche parte perché me le voglio ricordare. Per esempio:
Ogni attimo è una soglia, ogni azione è un rito, tutto pulsa di vita, tutto è sacro. “Questo è il momento!”. Proprio ora, assapora.
Vivere il momento presente, essere sempre presenti a se stessi, sentire il proprio corpo e il mondo, esercitare la semplicità e, soprattutto la meraviglia: in pratica, Candiani, pur partendo da una visione basata sul buddismo e sulle discipline orientali da lei abbracciate negli anni ’80, ci dice che dobbiamo ricordarci di essere, alla fin fine, dei filosofi. Così come lo erano anche gli antichi Greci che della meraviglia facevano il punto di partenza della conoscenza. Alla filosofa che è in me non poteva non piacere.
- La felicità del lupo, Paolo Cognetti
L’ho divorato in poco meno di due ore, nel pomeriggio di Natale (sì, le letture migliori sono state quelle degli ultimi giorni dell’anno). Certo, avrei potuto acquistarlo appena uscito, ma ho preferito inserirlo nella lista dei regali e godermi la sua attesa e, infine, la lettura.
Tornare in montagna insieme a Cognetti e ai suoi protagonisti – che portano sempre tracce autobiografiche nella loro storia – significa ricevere sempre qualcosa di nuovo: un punto di vista inedito sulle cose, sui luoghi, sull’esistenza, sull’amore. Che, forse, è proprio il punto di vista che si ha osservando il mondo dalla cima di una vetta, senza dover essere per forza su un quattromila, ma comunque alla giusta distanza.
Sai, avevo trovato un libro di geografia per bambini, lì in libreria. Diceva così, che salire di mille metri sulle Alpi equivale a spostarsi verso nord di mille chilometri […] perciò anche un breve dislivello vale come un lungo viaggio.
Le otto montagne resterà probabilmente al primo posto della mia personale classifica dei libri di Cognetti, ma questo gli si avvicina davvero molto. Siamo quasi a un ex aequo.
- La saga dei Cazalet, Elizabeth Jane Howard
Per il momento ho letto solo i primi due volumi – Gli anni della leggerezza e Il tempo dell’attesa – e sto per iniziare il terzo, Confusione.
Ho sempre avuto un debole per le saghe, familiari e fantasy (anche se queste ultime le ho un po’ accantonate ultimamente): mi colpisce sempre la capacità dell’autore/autrice di dipanare lungo pagine e tomi, senza lasciarsi alle spalle nulla di ciò che serve, storie che attraversano anni e avvenimenti di vario genere.
Anche se non sono ancora arrivata alla fine della saga – che tra l’altro ho scoperto essere fra i preferiti della duchessa di Cornovaglia, che l’ha proposta anche nella sua “Reading Room” su Instagram – mi è piaciuto fin da subito il modo in cui Howard ha saputo tratteggiare i vari caratteri e le vicende che riguardano i numerosi personaggi, compresi quelli minori, che si incontrano fra le righe.
Qui si passa dalle inquietudini causate dalla Seconda Guerra Mondiale (ma non solo), alle storie personali di crescita dei Cazalet più giovani e ai sentimenti da esplorare a fondo, senza tralasciare episodi di disagio e sofferenza, dalla malattia alle varie sfaccettature del tradimento.
Sì, le saghe per me sono un “mondo altro” – compiuto, il più delle volte – dentro cui immergersi per lasciare tutto il resto al di fuori, almeno per qualche tempo. Perché, come sostiene la consorte del principe Carlo con quel sense of humor molto british, “Se sei depresso o arrabbiato, entra nel mondo dei Cazalet: c’è sempre qualcuno che sta vivendo un momento peggiore del tuo”.
